MERCOLEDì 19 dicembre 2018 ore 16 - 18.30 - 21 (sala Lampertico) |
Regia
Mark Cousins
Genere
DOCUMENTARIO
Durata
110'
Anno
2018
Produzione
MARY BELL, ADAM DAWTREY PER BOFA PRODUCTIONS, CON BBC ART, FILMSTRUCK
Cast
Mark Cousins - (se stesso), Beatrice Welles - (se stessa) |
“Solo una persona può decidere il mio destino – e quella persona sono io.” Con questa fermezza si presentava Charles Foster Kane, indimenticabile protagonista di Quarto Potere, il film che nel 1941 sconvolse il mondo del cinema. Molti anni dopo, le stesse parole sembrano riecheggiare dietro al suo regista, sempre pronte a indicargli la via. Grazie all’accesso esclusivo al materiale privato di Orson Welles, Mark Cousins indaga una leggenda: attraverso i suoi occhi, disegnato con le sue mani, dipinto con i suoi pennelli. Prodotto da Michael Moore, The Eyes of Orson Welles riscopre uno dei più brillanti autori del Ventesimo secolo e esplora come il suo genio, trent’anni dopo la sua morte, risplenda ancora oggi nell’era di Trump.
Orson Welles è una delle icone più rilevanti del ventesimo secolo, sullo schermo e sul palcoscenico. I suoi film, come regista e attore, Quarto Potere, L’infernale Quinlan, Falstaff solo per citarne alcuni, sono tra i più grandi e innovativi mai realizzati. Welles era un genio che frequentava presidenti, faceva campagne di politica progressista e ha avuto come amanti le donne più belle del mondo. La sua figura, tra le più famose degli ultimi cento anni, può essere paragonata a quella di Picasso, Chaplin e Marilyn Monroe. Ma uno degli aspetti della sua vita non è mai stato discusso. Come Akira Kurosawa e Sergei Eisenstein, Welles amava disegnare e dipingere e da bambino prodigio, si è formato innanzitutto come artista. Ma un solitario viaggio in Irlanda durante l’adolescenza ha portato la sua carriera verso una direzione completamente nuova. Si è fatto strada sul palco del Dublin's Gate Theatre e lì ha ottenuto un immediato successo. Eppure Welles ha continuato per tutta la vita e per piacere personale a disegnare e dipingere e il suo cinema rivoluzionario, così come i suoi lavori teatrali, sono stati profondamente influenzati dalla sua immaginazione grafica.
Trama
Critica
Quando morì, più di 30 anni fa, lasciò centinaia di schizzi, scenografie, idee di progetti mai realizzati, illustrazioni per intrattenere i suoi figli e amici, scarabocchi ai margini di lettere personali e ritratti delle persone e dei luoghi che lo ispirarono. Dalla sua morte molti di questi sono conservati e un gran numero non è mai stato reso pubblico. Ora, per la prima volta, la figlia di Welles, Beatrice, ha concesso a Mark Cousins l'accesso a questo tesoro di immagini al fine di realizzarne un film. Questi disegni e dipinti sono una finestra sul mondo di Welles e una vivida illustrazione della sua creatività e del suo pensiero visivo. Lo sguardo di Orson Welles è un film per il cinema che si allontana dalle tecniche dei convenzionali documentari per la televisione. Cousins presenta nuove scansioni digitali delle opere d'arte e animazioni realizzate appositamente, che danno vita in maniera limpida alla magia del mondo grafico di Welles. Le animazioni sono opera del grafico Danny Carr, intervallate da clip tratte dai film di Welles, registrazioni di programmi radiofonici e interviste televisive di Welles e incontri con Beatrice Welles, che raccontano le storie dietro alle immagini. Una colonna sonora originale del giovane compositore nordirlandese Matt Regan dà al film emozione ed espressività. Il titolo musicale è il famoso Adagio di Albinoni, un cenno al fatto che Welles sia stato il primo regista ad usarlo per la colonna sonora del suo film, Il Processo, adattamento del romanzo di Kafka. Il film è raccontato in tre atti centrali - Pawn, Knight e King - con un epilogo sul tema di Jester. La sequenza Pawn guarda alla politica di Welles, alla sua simpatia per la gente comune, a quelle immagini che riguardano la modestia degli esseri umani - bambini, persone oneste che non sono in posizioni di potere.La sezione Knight esamina l'ossessione di Welles per l'amore, le sue storie d'amore con donne del calibro di Dolores del Rio e Rita Hayworth, e il suo attaccamento donchisciottesco a ciò che lui stesso considerava l’ideale cavalleresco antiquato. La sezione King esamina il fascino di Welles per il potere e la sua corruzione, attraverso illustrazioni che trattano di figure come Macbeth, Henry V, Kane e Welles stesso – l’epica degli esseri umani, i legislatori e gli usurpatori. L'epilogo Jester, infine, analizza le immagini sul divertimento e sulla beffa, con un sorprendente intervento dello stesso Orson Welles. Cousins viaggia anche attraverso i luoghi chiave della vita di Welles - New York, Chicago, Kenosha, Arizona, Los Angeles, Spagna, Italia, Marocco, Irlanda - per catturare quelle immagini che sono state rilevanti per individuare le sue opere d’arte e che contribuiscono alla narrazione di alcuni dei momenti della carriera e della vita personale di Welles.
Mark ha girato il film con due camere palmari, una minuscola videocamera HD e una videocamera 4K che offre un nuovo “stile steadicam” per la carrellata senza la necessità di binario o dolly. È il tipo di tecnologia che Welles avrebbe amato e che avrebbe potuto solo sognare in una vita di continua lotta con i limiti creativi e finanziari delle tradizionali tecniche di produzione cinematografica. Questo stile di ripresa riflette l'immediatezza degli schizzi e dei dipinti di Welles nel loro rapido coinvolgimento con il mondo visivo. Queste camere sono come i pennelli di Mark, danno loro un contatto diretto, personale e tattile che si crea tra la sua mano e l'immagine catturata/creata, senza l’intervento ingombrante di attrezzatura e personale. Questo film-saggio è molto più di disegni e dipinti. Proprio come gli album di schizzi di Leonardo Da Vinci che mostrano le sue passioni, i suoi cambiamenti mentali, i suoi pensieri e il suo pensiero visivo, questo film è un incontro con l'immaginazione di un grande artista profondamente politico, impegnato con domande su potere, esistenzialismo, memoria, destino, filiazione, psicologia, spazio e luce, che rivoluzionò il cinema. Questi ingredienti rendono Lo sguardo di Orson Welles non solo un ritratto di un grande uomo, ma un racconto del XX secolo, e una meditazione sulla costante rilevanza del suo genio in ciò che Mark descrive come tempi wellesiani.
NOTE DI REGIA DI MARK COUSINS
Non volevo fare un film su Orson Welles. Quando ho visto i suoi film per la prima volta, mi sono sembrati come antiche querce o gigantesche gru. Li ho amati, ovviamente, ma quando sono diventato un regista ho pensato che non avrei avuto più nulla da dire a proposito. Ci sono molti documentari su Welles e decine di libri. È un regista canonico. Nel mio lavoro ho cercato di guardare più al cinema africano o indiano rispetto ai film americani: Guru Dutt, piuttosto che Orson Welles (anche se hanno molto in comune). Ma poi ho sentito che esistevano ancora molti disegni e dipinti di Welles. Ero incuriosito. Mi piace il concetto del “tempo libero” dedicato aglischizzi, al prendersi del tempo sbarazzandosi dello stress concentrandosi su altro. Gran parte del mio lavoro negli ultimi anni si è occupato dello sguardo. Forse queste opere di Welles potrebbero aiutarmi a capire come lui guardava?
Perciò, come realizzare un film del genere? Fin dal principio sapevo che non dovevo provare a imitare lo stile di Welles – angolature dal basso, obiettivo grandangolare, grandi primi piani. Il mio film su di lui avrebbe dovuto essere distante da tutto ciò. Per un po' di tempo me ne sono stato in un angolino, ho fatto un lavoro di osservazione senza intervenire e, ovviamente, senza intervistare. Non è difficile da fare, a dire la verità, ma la questione dell’inquadratura è di estrema importanza in questo tipo di Cinema, aspetto che mi attrae non poco. Al Traverse City Film Festival di Michael Moore ho incontrato Beatrice Welles, la figlia, e Philip Hallman del Dipartimento di Arti Audiovisive e Cultura dell’Università del Michigan, che ha acquisito la maggior parte dei lavori di Welles. Mi hanno raccontato molti aneddoti riguardo i disegni del regista, per questo motivo mi sono reso conto di dover dare al film una struttura mitica – per questo motivo la serie di capitoli intitolati Pawn, Knight, King e Joker (cambiato, successivamente, in Jester seguendo il consiglio del produttore Adam Dawtrey). I lavori di molti filmmakers sono delicati e minuziosi per un approccio registico così possente e spigoloso: il livello archetipico è dove la maggior parte dei lavori di Welles prendono vita, per questo motivo ho optato per questo approccio. Guardo molti documentari di arte in TV, e mi piacciono, dal momento che Lo Sguardo di Orson Welles è stato pensato per il cinema (così come per la TV), ho voluto evitare di usare gli archetipi televisivi, come quello del presentatore. Troppo spesso ho avuto la sensazione che fossero d’intralcio. Valuto quello che hanno da dire ma non ho il bisogno di mostrarli mentre parlano. Avevo necessità, allo stesso tempo, di essere più innovativo nella scrittura del film, così ho deciso di costruire l’intera sceneggiatura come una lettera ad Orson Welles piuttosto come una presentazione al pubblico. Con una lettera lo spettatore potrebbe, forse, spero, avere la sensazione di stare origliando. E le lettere hanno, per questo motivo, un altro tono e un altro tipo di intimità, registro e sentimenti. I produttori Mary Bell e Adam Dawtrey si sono uniti alla squadra, così come il mio editor Timo Langer, il graphic designer e fan di Welles Danny Carr (volevo vedere disegnate alcune delle parole della sceneggiatura sullo schermo) e il compositore Matt Regan. La musica è stata particolarmente importante, perché volevo che ogni capitolo avesse il suo unico tema – una chitarra folk per Pawn, un violino romantico per Knight, dei grandi strumenti in ottone per King e una fisarmonica per Jester. Vincent Longo aveva già studiato i lavori artistici all’U Mich, quindi è stato un apporto importante al progetto, oltre a Glen Shepherd, regista scozzese giovane e brillante che ha aiutato con le ricerche. Creative Scotland e la BBC hanno sostenuto il progetto in Inghilterra, così come Charles Tabesh della FilmStruck/TCM in America. Il problema di chi potesse dare voce a Welles è stato risolto nel momento in cui mi è capitato di incontrare Jack Klaff al Summerhall di Edimburgo, attore e uomo rinascimentale. Abbiamo registrato alcune battute alle 7 del mattino, quando la sua voce è più profonda. Ali Murray è stato il sound designer, ha passato anni a registrare mine di matite, pennelli e punte di feltro sulla carta.
Nel processo di montaggio, la struttura del film non è stata cambiata. La prima versione durava esattamente due ore, l’abbiamo stretta di una decina di minuti perdendo qualche cosa e aggiungendo un nuovo finale e capitolo, Bees Make Honey. Tra un montaggio e l’altro andavo in Marocco, Irlanda, Spagna e Italia per girare nei luoghi rilevanti per la nostra storia e per la crescita di Welles come artista. Per le riprese ho utilizzato una DJI Osmo Pro girando in parte con camera mano. Volevo dare come la sensazione di qualcuno (Welles, forse?) che cammina per il mondo. Così, il film è stato completato. Che cosa ho imparato? Se alla fine di questa esperienza mi sento in qualche modo diverso nei confronti di Orson Welles che, come affermo nel film, mi ha teso una corda di salvataggio? Rispondo a queste domande nel mio cortometraggio The Boots of Orson Welles.
Mark Cousins
Edimburgo, 2018
Mark Cousins
Ulster (Irlanda del Nord). Regista e critico cinematografico. Negli anni Novanta realizza un progetto per la BBC dal titolo "Scene by Scene": una serie di brillanti interviste in cui aveva incontrato alcuni cineasti famosi, tra cui David Lynch, Roman Polansky e Martin Scorsese. Direttore dell'Edinburgh Film Festival e nel 2009, insieme alla nota attrice Tilda Swinton, realizza un progetto piuttosto curioso: all'interno di un camion di grandi dimensioni si trovano 33,5 tonnellate di "cinema portatile", che viaggiano per le Highlands scozzesi. Il progetto è stato definito un festival itinerante del cinema indipendente ed è stato inoltre citato nel documentario "Cinema is Everywhere"(2011) diretto da Teal Greyhavens. Nel 2011 è regista e presentatore del documentario: "The Story of Film: An Odissey", lungometraggio a episodi presentato al Toronto International Film Festival nello stesso anno.
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