Critica
Dopo 'Tanna', altro film quasi documentario sulla natura e le sue mille e faticose meraviglie. (...) Mare, sole, vento, uccelli con fair play, onde, pesci abbattuti e arrostiti senza pietà, pasti rustici, sabbia, tempeste gabbiani senza Ebbtide: una provvista di elementi e di sentimenti primordiali prima del ritorno nella «civiltà». Come in 'Odissea nuda', due culture ancora lottano rivali riprese in una fotografia ondivaga bellissima, ad altezza di emozione di piccino, tutta farina del sacco di Pedro Gonzalèz-Rubio che trasmette emozioni semplici in una cornice selvaggia, ma pronta alla cartolina.
Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 25 maggio 2017
'Alamar' (a la mar, al mare in spagnolo ) è un documentario intimo, potremmo dire. (...) Proprio perché riesce ad assumere lo sguardo di un bambino il film è asciutto e privo di retorica.
Paolo D'Agostini, 'La Repubblica', 25 maggio 2017
Si esce da questo minuscolo, toccante, mélo caraibico abbagliati da luci e colori tropicali nel modo verginale in cui il piccolo protagonista li scopre. (...) Stessa operazione di fiction in documentazione antropologica del nostro "Fuocoammare" o del recente australiano "Tanna", ruba da una tradizione che va da Murnau e Flaherty al nostro Quilici. È pure un'opera in difesa dell'atollo patrimonio Unesco invaso dalla modernità.
Silvio Danese, 'Nazione-Carlino-Giorno', 25 maggio 2017
Ci sono voluti otto anni prima che questo appassionato, piccolo film messicano trovasse una distribuzione. Un'ingiustizia inspiegabile. E' la storia, breve, tenera e intensa, dell'incontro fra tre generazioni vicino alla barriera corallina di Banco Cinchorro, in Messico. (...) Splendidi paesaggi, dialoghi essenziali, tanta poesia in settanta minuti che proprio volano.
Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 25 maggio 2017
Ci sono film che nascono da un'urgenza più che da un progetto esclusivamente cinematografico. L'urgenza in questo caso è quella del regista Gonzàlez-Rubio il quale ha compreso, vivendo nell'area, che il Banco Chinchorro, dichiarato Riserva Naturale della Biosfera nel 1996 dall'UNESCO, sta diventando sempre più un'eccezione in un ambiente sempre più contaminato dalla distruzione della barriera corallina per lasciare spazio a navi da crociera che trovano sulla costa catene di hotel certamente non rispettose dell'ecosistema.
Non altrettanta urgenza ha provato la distribuzione cinematografica nazionale che, nonostante i premi vinti da questa docufiction in numerosi festival, ha dovuto attendere Barz and Hippo che, in collaborazione con Rossosegnale e Ahora Film, ha fortemente voluto un'uscita nelle sale italiane.
Il film non risente per nulla degli 8 anni di attesa perché l'intensità della narrazione e la qualità delle immagini sono rimaste comunque efficaci. Il rapporto tra Jorge e Roberta è mutato ma l'amore nei confronti del piccolo Natan è rimasto uguale da parte di entrambi. Gonzàlez-Rubio non vuole proporre una contrapposizione manichea tra la vita che il bambino trascorre in città con la madre e ciò che condivide con il padre. Il suo obiettivo è diverso: vuole mostrarci come il rapporto parentale (ivi compreso il nonno) trovi nella Natura incontaminata una Grande Madre capace di dare vita e significato alla quotidianità di uomini (le donne in questi microcosmo sociale non compaiono anche se sono determinanti per la vita dei loro compagni).
Torna alla memoria il cinema del grande Folco Quilici con in più lo sguardo di un regista che vive in loco e che quindi non solo sa fondere finzione e realtà ma trova in quest'ultima l'occasione per lanciare un messaggio in una bottiglia che è universale ma si rivolge anche a chi non vorrebbe rispettare in loco un sistema di relazioni Uomo-Natura che invece va preservato con cura.
Giancarlo Zappoli, Mymovies.it, lunedì 8 maggio 2017
Alamar ci ha messo otto anni per arrivare sui nostri schermi. Il film-documentario del regista messicano Pedro Gonzáles-Rubio risale al 2009 e si pone l’obiettivo di portare i suoi spettatori nelle acque di una delle barriere coralline più suggestive del mondo, a bordo di una barchetta bianca e in compagnia di tre generazioni: nonno, padre e figlio. Quel viaggio tra mari incontaminati e intimità famigliare, ora, approda finalmente su alcuni nostri schermi a partire dal 25 maggio. Ma vale la pena di approfittare di questa occasione?
Alamar è un prodotto ibrido. Non è un film. Non è un documentario. È qualcosa che sta nel mezzo e lo fa in maniera egregia.
Gonzáles-Rubio ci porta piano piano a scoprire un mondo ai più sconosciuto. Un mondo inesplorato e, per questo, paradisiaco nel senso più stretto del termine. La scoperta avviene grazie ad un giovane e genuino protagonista: si chiama Natan, sua madre è italiana, suo padre è messicano. I due si sono amati e, come dice mamma Roberta, “si sono incontrati solo per fare Natan”, ma davanti all’ampia diversità delle loro vite, si sono separati. Ora Natan sta per partire, andrà in Italia, a Roma, ma prima è necessario che saluti come si deve suo nonno paterno, il pescatore “Matraca” di Banco Chinchorro. È un saluto pregno di significato, immerso in una natura incontaminata e bellissima, in un selvaticume che – lo sappiamo già – gli mancherà per tutta la vita.
È un’esperienza strana quella che ci costringe a vivere Alamar. Ci ritroviamo sognanti, a fissare quelle acque cristalline e quella vita semplice, fatta di pesca all’antica, infinite tazze di caffè e una palafitta di legno.
Sogniamo in quasi assoluto silenzio, rotto solo dai dialoghi – veri e pensati -, da qualche canzone in spagnolo e dal rumore, qualche volta assordante, del mare. Quello di Gonzáles-Rubio è un documentario calato nella bella cinematografia; è il racconto di un’intera comunità, di un modo di vivere, attraverso la compagnia di un bambino che scopre – contemporaneamente dicendo addio – una natura totalmente e splendidamente incontaminata.
Per tutto il tempo, vi ritroverete a pensare solo una cosa: Alamar è paesaggio e intimità, è natura e famiglia. Alamar racconta con poche parole, immagini essenziali e magnifiche, una cinematografia volta a sfruttare il più possibile la bellezza di ciò che la circonda, senza artifici. Proprio come la vita a Banco Chinchorro, di chi non vuole e non vorrebbe altro dalla vita che fissare il mare e le stelle che vi si riflettono.
Insomma, forse l’occasione di vedere Alamar e la meraviglia negli occhi di Natan sul grande schermo di un cinema andrebbe colta. In fin dei conti l’effetto collaterale è solo uno: vorrete abbandonare tutto e vivere il resto dei vostri giorni su una palafitta della baia messicana.
Viola Barbisotti, Cinematographe.it, 17 maggio 2017