GIOVEDì 13 febbraio 2020 ore 21.00 (Sala Lampertico) VENERDì 14 febbraio ore 16.00 - 20.00 (Sala ODEON) SABATO 15 febbraio ore 18.00 - 22.00 (Sala ODEON) ore 16.15 (Sala Lampertico) DOMENICA 16 febbraio ore 21.00 (Sala ODEON) In V.O. con sottotitoli |
Regia
Yinan Diao
Genere
DRAMMATICO, THRILLER
Durata
117
Anno
2018
Produzione
YANG SHEN PER GREEN RAY FILMS, MEMENTO FILM PRODUCTION
Cast
Kwai Lun-mei, Meihuizi Zeng, Regina Wan, Huang Jue, Ge Hu, Liao Fan, Qi Dao |
Zhou esce dal carcere e finisce immediatamente in una violenta contesa tra gang, che si conclude con l'uccisione di un poliziotto. Braccato dalla legge e dai rivali, è costretto a fidarsi di una prostituta, Liu, forse innamorata di lui.
Un uomo, una donna. La pioggia, incessante. Si incontrano sotto i piloni di una stazione, il rumore dei treni è frastuono. Opera seconda di un regista già vincitore di un Orso d'oro a Berlino e accreditato dai più come l'autore cinese su cui puntare per il futuro, Il lago delle oche selvatiche - titolo internazionale di un film che in originale è più o meno traducibile come "Appuntamento in una stazione del Sud" - conferma a più riprese come le speranze su Diao Yinan siano state ben riposte e come il suo stile sia già definito e maturo.
Soggetto: Yinan DiaoTrama
Critica
Lui è Zhou Zenong (Hu Ge), pezzo grosso di una banda di rapinatori ora in fuga perché ricercato dopo aver sparato a un poliziotto. Lei, Liu Aiai (Gwei Lun-mei), una giovane prostituta mandata lì dai compari di lui per fargli compagnia e aiutarlo a non dare troppo nell'occhio. O, almeno, questo è ciò che lei gli racconta.
Cinque anni dopo l'Orso d'Oro vinto a Berlino con Fuochi d’artificio in pieno giorno, Diao Yinan stupisce nuovamente (in concorso a Cannes 2019, nelle sale dal 13 febbraio 2020 grazie alla Movies Inspired) con un noir malinconico e dall'intreccio avvincente.
Ancora una volta, cinema di genere e cinema d'autore si fondono, Diao lascia che la trama si disveli poco a poco, affidando prima a uno, poi all'altra, il racconto degli eventi precedente il loro incontro.
Contestualmente, il regista costruisce un doppio binario su cui far muovere le azioni dei malavitosi da una parte e dei poliziotti dall'altra, impegnati in una caccia all'uomo a tappeto.
Non c'è un'inquadratura gratuita, ogni situazione - anche le più disparate (spesso nel bel mezzo di un inseguimento perdiamo di vista i protagonisti perché ci troviamo dentro degli stanzoni dove sta succedendo tutt'altro, rimanendo lì a vivere un altro piccolo film nel film) - esplodono con la potenza di un qui e ora di rara suggestione, le figure si nascondono per un attimo dietro teli di plastica sporchi ma trasparenti, le ombre sui muri sostituiscono la sagoma in carne e ossa dei personaggi.
Momenti dai tempi dilatati e caos assoluto si alternano in maniera mai forzata né banale, sfiorando più volte le derive thriller di una narrazione che non perde mai di vista il centro della questione.
C'è tempo anche per un breve, fugace omaggio a La signora di Shanghai di Orson Welles, in questo andirivieni senza sosta in cui chiunque - anche la moglie del fuggitivo (Wan Qian) - agisce in un modo ma nasconde altro.
Un film liquido e mutaforma, con lampi improvvisi di violenza efferata ma dal pattern indiscutibilmente nostalgico, che non lascia via di scampo.
Ma che affida al colpo di coda nel finale la possibilità di una nuova speranza. Bellissimo.
Valerio Sammarco, Cinematografo.it, 18 Maggio 2019
Il genere d'elezione è nuovamente il noir, anche se l'approccio differisce dal fortunato predecessore, Fuochi d'artificio in pieno giorno. Quella che là era suggestione investigativa, incentrata su una femme fatale enigmatica, qui diviene immersione in un sottobosco criminale crudele, regolato da leggi antiche.
Le improvvise esplosioni di rabbia e di violenza che sopraggiungono a interrompere momenti quasi contemplativi sono spesso quadri corali, in cui la regia ha sempre il controllo della più caotica delle situazioni. La presenza vistosa della macchina da presa è alla base delle scene più memorabili di Il lago delle oche selvatiche: la rissa iniziale, che darà vita a un'inesorabile reazione a catena, così come la sparatoria durante il ballo di gruppo sulle note di Rasputin di Boney M, in cui le suole luminose degli apprendisti ballerini catturano l'attenzione dello spettatore e lo guidano attraverso i campi lunghi di Diao, ad abbracciare le molteplici realtà della Cina odierna.
La miseria, l'avidità, l'occidentalizzazione che si insinua e l'ancestrale legge del jiang hu (il senso dell'onore cavalleresco che caratterizza le contese mafiose) che regna sopra ogni cosa scorrono in un'ideale carrellata orizzontale. Ed è ancora più forte l'impronta stilistica in un montaggio frenetico di animali selvaggi, talmente criptico da non permettere di capire con certezza su che piano di realtà ci si stia muovendo, se in uno zoo, teatro di una sparatoria, o in una fantasia di guardie e ladri, predatori e prede.
Al centro c'è nuovamente una figura femminile, Liu, come in Fuochi d'artificio in pieno giorno interpretata da Gwei Lun. Liu ha molti padroni e in fondo non ne ha alcuno, la sua posizione costantemente precaria le permette di dimostrarsi più forte di tutti i peggiori prevaricatori. La sua identità, stratificata e ambigua, si contrappone alla semplicità del suo ipotetico oggetto d'amore: Zhou, il fuggiasco, a cui dà vita la star televisiva Hu Ge. Un archetipo vivente, così vicino al canone classico dell'antieroe noir da divenire lo strumento con cui il cinefilo Diao rivisita il cinema in bianco e nero.
Non è un caso, quindi, se le ombre proiettate sulle pareti assumono un ruolo centrale nel film, tanto che le sagome dei personaggi sembrano quasi vivere una vita distinta rispetto alle figure in primo piano. Forse le prime rappresentano la proiezione di quel che Zhou e Liu vorrebbero essere, forse sono ciò che ancora i due amanti alla realtà e che rimuove alla radice ogni sogno di romantica fuga. D'altronde il primo luogo in cui conosciamo Zhou è una stazione ferroviaria, con i treni che rendono inintelligibili parti di dialogo. L'ambiente ideale per un protagonista che ricorda Robert Mitchum ma ancor più il Jean-Paul Belmondo di Fino all'ultimo respiro, con l'aggiunta di una dose di violenza efferata che è, al contrario, figlia della modernità e delle estremizzazioni di Nicholas Winding Refn o Kim Jee-woon. Ma anche lo spargimento di sangue in stile manga entra a far parte del mosaico orchestrato da Diao Yinan, talmente composito che spesso i singoli, geniali, frammenti di cinema finiscono per superare, per perizia e inventiva, la visione complessiva. Un contrasto o un limite presente più in Il lago delle oche selvatiche che in Fuochi d'artificio in pieno giorno e che, forse, resta l'ultimo ostacolo da superare per accogliere definitivamente Diao Yinan nel pantheon dei più grandi.
Emanuele Sacchi, Mymovies.it, 20 maggio 2019Altre informazioni
Sceneggiatura: Yinan Diao
Fotografia: Dong Jingsong
Montaggio: Kong Jinlei, Matthieu Laclau
Suono: Zhang Yang (II) – (supervisione)
Altri titoli: Le Lac Aux Oies Sauvages
credits: