Critica
Accostarsi a un film di Nanni Moretti porta sempre alla mente il critico cinematografico di Caro diario. Le sue recensioni diventavano incubi, il regista gliele leggeva di notte, anche se non lo chiamavano in causa personalmente. E il critico piangeva per aver scritto una montagna di parole vuote, per essere rimasto alla superficie di un gusto opinabile. Così noi partiamo proprio dal titolo, per capire l’essenza di questo nuovo racconto per molti versi sorprendente e necessario.
Santiago, Italia. Santiago: la capitale del Cile, la metropoli che vide l’ascesa e la caduta di Allende. E poi il golpe, l’arrivo di Pinochet (nominato una sola volta, per non cercare “il colpevole” e focalizzarsi invece sull’anima di una nazione ferita), le torture, il regime. Italia: il territorio dell’ambasciata, dove centinaia di disperati trovarono rifugio dalle barbarie. Ma l’Italia è anche la terra che li ha accolti. Si sono ricostruiti una vita dopo l’11 settembre 1973 (il giorno dell’attacco e della fine di Allende), ora sono nostri concittadini.
“L’Italia assomiglia sempre più al Cile, nelle cose peggiori. La persona che hai al tuo fianco, se puoi, la calpesti. Questa è la corsa: l’individualismo”, spiega Erik Merino, uno che ha trovato scampo da quel periodo buio. Santiago, Italia. Perché ormai il nostro Paese rischia di specchiarsi negli errori degli altri, condannati dalla Storia. Santiago, Italia. Perché negli anni Settanta, nonostante il silenzio delle istituzioni, alcuni uomini si sono scoperti eroi in terra straniera. Santiago, Italia. Per richiamare un’antica fratellanza, per mettere in luce valori e contraddizioni. Nasce dal titolo un doppio significato, le due facce della stessa medaglia. La luce e il buio.
Il cinema di Moretti si fa ancora una volta profetico, come in Habemus Papam. Là c’era il Grande Rifiuto di un Pontefice, un uomo tormentato che abbandona i fedeli e la guida della Chiesa. Benedetto XVI si sarebbe ritirato dal Soglio due anni dopo, nel 2013. Ma qui non siamo nel campo della finzione. Santiago, Italia è un documento, una testimonianza a più voci. Dal diplomatico all’artista, dal traduttore all’operaio. Passando per gli orrori di Villa Grimaldi (il covo della polizia segreta cilena), per i rastrellamenti, i massacri. Interviste frontali, il dolore di chi ha patito, le tragedie di ieri che non smettono di essere attuali.
“Sotto cieli di piombo piovevano lacrime di rame, il Cile piangeva disperato la sua libertà perduta”, cantavano i Nomadi in Salvador. Moretti torna a quegli anni, dando voce anche alla controparte, ai soldati oggi in prigione. E qui c’è la vera svolta, l’evoluzione del suo stile. In La cosa, nel 1990, Moretti filmava il dibattito all’interno del Pci, quando Achille Occhetto voleva rifondare il partito. La voce del regista quasi non si avvertiva, le immagini coglievano il momento, apparentemente senza prendere posizione. Qui invece l’autore si schiera, esprime tutta intera la sua rabbia.
Al tempo delle bandiere che scolorano al vento, nei giorni dei balletti davanti al baratro, Moretti afferma con forza: “Io non sono imparziale”. Bisogna farsi sentire, essere parte attiva. Santiago, Italia si apre con l’autore che guarda la città dall’alto, che domina le case e la gente che vi abita. Questa è la sua cronaca, una versione dei fatti potente e “di parte”, che respinge la vigliaccheria di chi si tira indietro. “Io non sono imparziale”. Oggi non dovremmo esserlo neanche noi.
Gian Luca Pisacane, Cinematografo.it, 30 novembre 2018
Il cinema di Nanni Moretti procura sempre un trasalimento, legato alla presenza ricorrente dell'autore nella sua opera. Che il film si richiami oppure no alla sua esperienza personale, lo spettatore oscilla tra finzione del personaggio e intimità della persona. Dal suo primo cortometraggio, La sconfitta, Moretti ha nutrito questa ambiguità e rilanciato le incarnazioni: Michele Apicella, alter ego collerico intorno a cui forgia il suo cinema fino a Palombella rossa, se stesso nei suoi sorprendenti diari intimi (Caro diario, Aprile), personaggio a pieno titolo nelle fiction della maturità (Caos calmo), "a fianco" del suo personaggio nel lutto morale e intimo di Mia madre. Questa evoluzione identitaria ha prodotto una filmografia che è diventata coscienza artistica e politica dell'Italia.
Tre anni dopo Mia madre, Nanni Moretti gira un documentario sul ruolo che ha giocato l'Italia nel colpo di Stato di Pinochet in Cile, nel settembre del 1973.
Realizzato a partire da immagini d'archivio e da testimonianze, Santiago, Italia racconta i mesi che seguirono il golpe del dittatore che mise fine al sogno democratico di Salvador Allende. Il film mette l'accento sul ruolo encomiabile dell'ambasciata italiana basata a Santiago, che diede rifugio a centinaia di oppositori del regime, permettendogli di raggiungere l'Italia.
Lezione di storia narrata da chi ha vissuto la caduta e la morte di Allende, presidente apertamente marxista e democraticamente eletto nel 1970, Santiago, Italia conferma l'eterno investimento personale del suo regista ma sposta la prospettiva in 'prima persona', singolare e libera, alla 'seconda persona'. Persona-testimone capace di portare la novità nel mondo, di cui comprende e narra (quindi ricorda) le gesta. Documentario "partecipato" certo, Moretti interviene durante le testimonianze, le interroga, dona la replica, polemizza, registrando una lunga deposizione corale: la confidenza pubblica di una condizione intima. Lo slittamento di piani tuttavia gli consente di considerare i danni dal punto di vista delle vittime. È un cambiamento che modica e rinforza la nostra idea su ciò che è un danno. Impossibile assistere ai conflitti e alle guerre senza chiederci chi li subisce, chi li patisce. Impossibile staccarsi dalla pena altrui.
Avvocati, registi, musicisti, operai, imprenditori, artigiani, giornalisti, insegnanti, medici, traduttori, cardinali, diplomatici, sono i testimoni privilegiati e scampati alle fucilazioni sommarie, scavalcando i muri delle ambasciate. Frontali al pubblico esprimono le ragioni che secondo loro hanno condotto al golpe, raccontano i primi anni, euforici e prosperi, dell'Unidad Popular, l'ombra della Guerra Fredda, le tensioni esercitate su un paese felice, la dittatura durata diciassette anni che causerà più di tremila morti e dispersi, migliaia di torturati, imprigionati, esiliati. A ogni conversazione, Moretti rinnova quella capacità incredibile a suggerire nell'organizzazione concreta delle situazioni uno straripamento emotivo, il tracimare dell'interiorità dei personaggi e delle persone senza alcun altro linguaggio che la grammatica semplice dei piani.
Nessun passaggio oltraggiosamente retorico, nessun effetto d'atmosfera. In Santiago, Italia respiriamo un'aria secca (nel senso di asciutta, sobria, essenziale) che coniuga con un gesto netto la durezza dell'atrocità subita con la dolcezza di un'emozione rievocata, che traccia una linea ben definita tra i militanti e gli assassini, che non si costituiscono come persone nella misura in cui rifiutano di riconoscere che non sono vittime ma responsabili delle circostanze in cui si sono trovati.
Moretti rintraccia e incontra rifugiati politici cileni e li accompagna risalendo il tempo oltre i muri dell'ambasciata italiana in Cile, dove cominciava un'Italia solidale e partecipe, pronta ad accoglierli, desiderosa di accogliere. Un Paese davvero senza limiti, i limiti del diritto d'asilo, dove l'evento dell'altro, sempre inatteso, introduceva possibilità inaspettate. Un laboratorio, come il Cile, di sperimentazioni politiche socialiste dove la solidarietà non era un delitto e dove si era chiamati in ogni istante a rispondere dell'altro e per l'altro. Ode all'intelligenza collettiva che fu, Santiago, Italia torna a casa con un salvacondotto che spalanca(va) le porte su un Paese bellissimo e vigile custode dell'umanità dell'umano. Un Paese oggi irriconoscibile e raffreddato dall'inverno della dittatura qualunquista.
Moretti non smette di urlare il suo dolore, per il 'mancato incontro con l'altro' come tra Omar Sharif e Julie Christie ne Il dottor Živago. Il film lo ha già visto, sa che non c'è più niente da fare ma ogni volta, Nanni spera in un miracolo.
Marzia Gandolfi, Mymovies.it, 2 dicembre 2018
“L’Italia degli anni Settanta era il paese dei miei sogni, girando per il paese oggi ritrovo i peggiori difetti del Cile”. È questo il momento in cui, alla fine del film, con tanto di insistito fermo immagine, un rifugiato cileno sveglia lo spettatore. Un brutale ritorno ai tormentati giorni d’oggi dopo un lungo racconto di un passato in cui gli italiani aiutarono con grande generosità il popolo cileno dopo il golpe di Pinochet; nei nostri confini, ma anche nell’ambasciata di Santiago. Nanni Moretti sembra qui voler esplicitare come gli anni ’70 fossero un’epoca in cui l’ideologia e il sogno politico di un mondo nuovo portava ancora a prendersi cura degli altri. Lo si intuisce già dal titolo, Santiago, Italia, come questo particolare documentario, oggetto poco consueto nella filmografia del regista romano, sia uno sguardo che unisce la memoria degli anni dal 1970 al 1973, dalla salita al governo democraticamente di un’alleanza di sinistra che univa dai socialisti ai comunisti, fino all’orrido colpo di stato militare guidato da Pinochet e finanziato dalla CIA. Ma non solo, è anche il ritratto di un’Italia ancora unita da valori comuni che nel caso del golpe cileno furono dimostrati in pieno, coinvolgendo non solo i partiti di sinistra estrema, ma anche quelli di governo, come repubblicani o DC.
“Io non sono imparziale”, è così che Moretti rompe con la ritualità piuttosto classica fatta di interviste e materiali di repertorio con cui ha impostato il suo film, per inserire quello che appare un fuorionda, in cui uno dei due militari da lui intervistati gli dice di aver accettato di parlare perché rassicurato sulla sua presunta imparzialità. Ma come si può essere imparziali di fronte al bombardamento dell’esercito del suo stesso palazzo presidenziale, per cacciare un governo democraticamente eletto, caso unico per un partito comunista, che aveva portato avanti una politica totalmente legittima?
Il primo merito di Santiago, Italia è di ritornare su vicende sicuramente conosciute, ma che è sempre bene ricordare, specie in un periodo in cui la democrazia viene data per assodata. Particolarmente accurata è la scelta delle persone intervistate, militanti di sinistra perseguitati dal regime e rifugiati nell’ambasciata italiana. Le modalità con cui centinaia di persone arrivarono nel perimetro della sede diplomatica furono spesso carambolesche, mentre le stanze si riempivano di cileni di ogni età, molti anziani e bambini, dopo la decisione autonoma dell’ambasciatore italiano di accettarli tutti, in mancanza di una posizione chiara del ministero degli esteri di Roma.
Una passerella di volti, racconti, personalità molto diverse, dagli artigiani ai professori, dai musicisti agli educatori ai registi come Patricio Guzman. Molti di loro sono poi rimasti in Italia, “madre generosa e solidale, dopo che il patrigno Cile ci ha respinti”. È qui che i racconti si fanno commoventi, quando la memoria rievoca una bambina lanciata oltre il muro come fosse un fagotto, un cardinale pieno di umanità, o gli occhi pieni di luce e nostalgia di chi rievoca quei mesi pieni di gioia per un sogno diventato realtà, seppure per poco tempo. Un’emozione che ha ancora più reso drammatica la sua fine ingiusta, violenta, con la persecuzione di un’opposizione che di fatto non era neanche organizzata o pericolosa, dopo la decisione di Allende di non reagire innescando una guerra civile.
Santiago, Italia è universale perché mette al centro l’umanità dell’esperienza di vita di queste persone, di chi le accolse e di poi poi le accettò offrendo loro un lavoro. Il tutto facendo parlare fatti e storie, senza rabbia, solo con lo sgomento dell’emozione di queste persone che diventa l’emozione dello spettatore.
Mauro Donzelli, Comingsoon.it, 30 novembre 2018