Critica
Non è un caso che il film si apra con una scena destinata a sorprendere perché il regista, pur non avendo mai affrontato con i familiari il problema di un'epidemia vaccina, l'ha comunque temuta da bambino e da adolescente. Le mucche insomma hanno 'invaso' la sua vita.
Il cinema francese ha il pregio di tornare periodicamente ad abbandonare le grandi città per raccontarci la vita della provincia e, nello specifico, quella della campagna. Charuel ha lo sguardo del documentarista quando ci mostra la nascita di un vitellino ma sa come passare al thriller (riuscirà il nostro eroe ad evitare l'abbattimento di tutte le sue bestie?) senza dimenticare importanti annotazioni sociologiche. Ci ricorda infatti che se la tecnologia è un valido ausilio al lavoro degli allevatori (anche se non è ancora arrivata a misurare il grado di felicità degli animali) le istituzioni non sono altrettanto attente ai loro bisogni. Chi si trova colpito dalla disgrazia di un'epidemia si vede promettere rimborsi ed incentivi ma nell'attesa (lunga) non sa come tirare avanti. Charuel però non si limita a costruire la tensione su questi elementi. Si prende anche il tempo per descriverci l'amore ma anche la frustrazione che un 'petit paysan' trentenne prova per gli animali e nei confronti della quotidianità.
La sorella di Pierre è la veterinaria della zona e cerca di aiutarlo fin quando può ma la vita con i genitori (in particolare con la madre) è sempre più difficile per un Pierre che ormai vive solo con le sue mucche, si è staccato dagli amici e non è interessato (e forse fa bene) alla fanciulla (fornaia) a cui maman vorrebbe che lui dedicasse un po' di attenzioni. In questo contesto vediamo progressivamente susseguirsi i suoi tentativi di aggiramento degli ostacoli che si scontrano con (questo è un elemento a favore della Sanità francese) dei controlli molto severi.
Giancarlo Zappoli, Mymovies.it, 4 ottobre 2017
Opera prima notevole e per nulla sensazionalista od edulcorata, ad opera del trentacinquenne Hubert Charuel, presentata con successo alla Semaine de la Critique di Cannes 70, Petit Paysan sa essere schietto e dare una rappresentazione realista e perfettamente calata nell’ambiente, di un dramma economico ma anche umano che spinge una persona a fare qualsiasi cosa per salvare il proprio patrimonio, la propria ricchezza, ma pure i propri affetti e un lavoro che è diventato una vera e prpria ragione di vita.
Ottimo Swann Arlaud, già visto in diverse produzioni francesi e belga, interprete credibile e mai sopra le righe, perfetto per rendere tangibile la disperazione di un uomo che coniuga alla perfezione senso del dovere e sentimento, e perfetto anche a rendere la timidezza e la retrosia dell'uomo poco avvezzo a fare la corte o a ricevere considerazioni da parte della panettiera che lo vorrebbe a sé.
Magnifica la scena iniziale, onirica ma nemmeno troppo, in cui il protagonista si sveglia e si alza da letto circondato dalle proprie mucche, facendo fatica a districarsi tra i loro corpi ingombranti per raggiungere il bagno.
Alan Smithee, Filmtv.it, maggio 2017
Tirando abilmente le fila di una storia semplice (che ha scritto con Claude Le Pape e che ricorda, da tutt’altra angolazione, Rams [+] di Grimur Hákonarson), Hubert Charuel trae il maggior profitto dall’eccellente interpretazione di Swann Arlaud e dalle risorse di personaggi secondari tratteggiati con molta veracità (la madre invadente, la panettiera in cerca di marito, gli amici del vicinato) per tessere un film tenero che esplora senza drammatizzare troppo una questione sociale di per sé decisamente drammatica. Un film che è soprattutto il ritratto delicato della solitudine di un uomo legato anima e corpo alla sua terra e alle sue bestie.
Fabien Lemercier, Cineuropa.org, 25 maggio 2017