Critica
Commedia sociale "tra uomini", Le Grand Bain è il terzo film di Gilles Lellouche ma il primo (ben) realizzato da solo.
Affondato in una piscina municipale, l'attore interroga la virilità attraverso un gruppo di uomini non esattamente al meglio della forma e alla ricerca di una briciola di riconoscenza. Lellouche filma corpi imperfetti e cadenti a mollo nell'acqua, uomini alla soglia dei cinquant'anni e sulla soglia dello spogliatoio, dove a turno confessano le insoddisfazioni e le rispettive infelicità. A narrarli fuori campo è la voce di Mathieu Amalric alle prese con la caricatura goliardica del suo soggetto di elezione, la depressione.
Incarnazione irresistibile dello scacco, tra Xanax e Candy Crush, è il suo personaggio a introdurre lo spettatore in piscina e al cospetto di un dream team ostinato a riuscire in una disciplina ad assoluto appannaggio delle donne. Sfidando l'immaginario collettivo, il nuoto sincronizzato non è mai associato agli uomini, Lellouche firma un film generoso e inventivo che non ha paura di fare i conti col corpo che cambia e coi bilanci inclementi dell'età.
Al centro della commedia piazza la vulnerabilità esistenziale e lo specchio d'acqua in cui rifletterla e riflettere i profili dei suoi protagonisti, tutti in ambasce con la gestione dei figli, del lavoro, del matrimonio, delle relazioni, dell'avvenire. Insieme formano una squadra di sirene amorfe che riusciranno nell'impresa grazie alla loro volontà e al potere idealizzante del cloro.
Nonostante una regia a grana grossa e qualche passaggio confuso di sceneggiatura, Le Grand Bain guadagna coi suoi antieroi quella disinvoltura di movimento che gli permette di avanzare e di sfidare la fatica del vivere.
Non è certo la prima volta che Lellouche lavora sulla mascolinità e i suoi contorni imprevisti (Gli infedeli) ma a questo giro di vasca la qualità della materia comica, la perfezione dei suoi tempi e il livello della riflessione sul tempo che passa e ha fatto dei protagonisti quello che vediamo, configurano una ben strutturata commedia di caratteri.
Personaggi identificati con rapidità e leggerezza in una sintesi prodigiosa. I ritratti rivelano una sensibilità di scrittura ma soprattutto un'indulgenza e una comprensione che nascono dall'essere compagni di vita affiatati e fedeli. Da Guillaume Canet a Mathieu Amalric, da Benoît Poelvoorde a Philippe Katerine, passando per Jean-Hugues Anglade, tutti esprimono la storia del loro personaggio fuori e dentro l'acqua, registrando i propri soliloqui e facendo appello al personale arsenale comico. Giocolieri del doppio senso e prestigiatori del significato, si accordano in acqua chiedendo indulgenza e complicità anche quando la sparano grossa. Incarnazione sullo schermo dell'etero babbeo, l'autore corregge il tiro, incrocia le gambe e pesca il queer che è in lui e in ciascuno dei suoi eroi in crisi di mezza età.
Vicino col cuore a Rock'n Roll, storia di un attore quarantenne che prende coscienza della caducità della sua gloria, Le Grand Bain si avvale di un cast memorabile, un bacino di possibilità comiche che donano una base solida a questa commedia in apnea. Gilles Lellouche regola il suo film come un balletto e vince l'oro.
Marzia Gandolfi, Mymovies.it, 12 aprile 2018
Gilles Lellouche mette in scena l’esilarante dramma di un gruppo di quarantenni in crisi in 7 Uomini A Mollo (Le Grand Bain – titolo internazionale Sink or Swim). Un’opera che valorizza al massimo il senso e la funzione della commedia, che deve poter parlare delle disgrazie quotidiane con uno sguardo ironico e aperto alla speranza. Un film dal ritmo sostenuto, che non trascura nessuno degli aspetti che punta a toccare, coronato da un cast dipinto sulla sceneggiatura (o viceversa) capitanato da Mathieu Amalric, Guillaume Canet e Jean-Huges Anglade, alle prese con la ricerca di una soluzione ad una vita che non porta le soddisfazioni sperate, tra fallimenti lavorativi, relazionali e un’estenuante e infruttuosa ricerca del successo, forse ormai fuori tempo massimo.
Beltrand (Amalric) è un uomo insofferente e insoddisfatto. Felicemente sposato ma incapace di trovare un lavoro che lo soddisfi, si imbatte in un annuncio per partecipare a un corso di nuoto sincronizzato per soli uomini, ovviamente non professionisti. Uno sport senza dubbio inusuale, ma in cui potersi confrontare con una notevole sfida personale, alla ricerca di quella grazia e armonia che tanto mancano nella sua vita. Beltrand si imbatte subito nella singolare insegnante del corso (Virginie Efira), una ex professionista che – a seguito dell’infortunio della partner Amanda – ha abbandonato la professione e ora si trova coinvolta in problemi con l’alcool e una relazione finita per la quale non si rassegna.
Il gruppo sgangherato inizia così la sua preparazione, fra irresistibili goffaggini e stupidità, permettendo alla squadra di sognare in grande e provare a conquistare la Coppa del Mondo.
7 Uomini A Mollo: quando nuotare è l’unica alternativa ad affondare
Gilles Lellouche mette in scena un’irresistibile commedia, senza perdere di vista il messaggio finale, rintracciabile in quell’apparentemente banale “volere è potere” che troppo spesso finisce per essere dimenticato. Il gruppo di aspiranti nuotatori non ha sulla carta nessuna speranza per competere nella categoria, ma l’unione fa la forza e la miscela vincente fra la carota di Delphine e il bastone di Amanda (Leïla Bekhti) porterà il gruppo a credere davvero di poter trovare nell’acqua una dimensione magica e sospesa in cui potersi liberare da tutti i fardelli che gravano sulla loro esistenza. Un luogo in cui essere finalmente leggeri, liberi dai pregiudizi che impedirebbero la riuscita di un’impresa tanto impossibile quanto desiderata.
Mentre la vita privata continua a riservare difficoltà e piccole conquiste, fra separazioni dolorose e la presa di coscienza che non c’è più tempo per cercare il successo su un palcoscenico, 7 Uomini A Mollo rivela la possibilità di poter sublimare i propri sogni cambiando il cassetto, senza sentirsi costretti a rinunciarvi. Perché la vita dà sempre una seconda possibilità, basta essere in grado di cercarla dentro se stessi, senza lasciarsi frenare dall’ambiente esterno.
Un film assolutamente irresistibile, intelligente nel soggetto ed efficace nella messa in scena, in cui le immagini (e le coreografie) supportano deliziosamente una regia entusiasta, caratteristica innegabile di molte commedie francesi.
Virginia Campione, Cinematographe.it, 20 maggio 2018
I corridoi di una piscina comunale, in una cittadina di provincia ai piedi delle montagne, sono la cornice di una commedia che conferma la capacità del cinema francese di sfornare prodotti medi che soddisfino ogni tipo di pubblico. 7 Uomini a mollo (Le grand bain) è un feel good movie da manuale, che non scade nelle scorciatoie più facili che quel genere talvolta porta con sé. Gilles Lellouche esordisce alla regia in solitario con un film molto corale, come piace alla generazione di quarantenni d’oro del cinema francese che di Lellouche è compagna di ventura. Un gruppo di uomini variamente in crisi, che dimenticano le piccole e grandi sventure e mediocrità di ogni giorno ritrovandosi in una squadra di nuoto sincronizzato maschile.
Ovviamente l’inusualità della cosa non sfugge, così come la scarsa virilità presunta di uno sport tipicamente femminile, non proprio tagliato su misura per i diversamente eleganti e aggraziati corpi inflacciditi della depressa armata Brancaleone. I loro allenamenti serali sono vere terapie di gruppo: finiscono in sauna o in spogliatoio con qualcuno che regolarmente riesce ad aprirsi. Sono occasioni in cui il gruppo aiuta il singolo a non vergognarsi delle proprie fragilità. Le allena un’altra anima persa, un ex campionessa del nuoto sincronizzato ‘vero’, quello femminile, interpretata da una Virginie Efira che alterna distratte sedute di allenamento del suo ‘dream team’ con quelle degli alcolisti anonimi.
Quello che si apprezza nel film di Lellouche, qualità comiche evidenti a parte, è l’amore che prova per i suoi personaggi, la capacità di mettere in scena disperate solitudini molto contemporanee con affetto e l’ostinazione di non perdere la speranza che possano rialzarsi. Chi rendendo orgogliosa per una volta la figlia adolescente, chi riconquistando la moglie annoiata o superando la rabbia per una madre impietosa. Come spesso nella commedia francese sono chiari i riferimenti ai nostri classici del genere, cercando la risata amara eppure sempre rispettosa dei suoi personaggi, per marginale che possano essere. Come Toledano e Nakache, anche Lellouche riesce a riunire molti attori sempre ben scelti, anche per i ruoli minori, mettendoli al servizio di una commedia sociale e umanista, insistendo in questo caso sull’improbabile outsider che si ostina di sovvertire i pronostici. Rimangono però loro stessi: il percorso più importante è quello dell’accettazione reciproca di difetti e debolezze, e pazienza se non sono dei vincenti, nella vita o nel nuoto sincronizzato.
Queste considerazioni sulla profondità dei personaggi, che non solo figurine superficiali buone per far ridere con una battuta, non deve far dimenticare le qualità di verve comica di Le grand bain, divertente e a tratti esilarante, per meriti di scrittura e per la capacità dei suoi tanti fuoriclasse di essere efficaci anche per un tempo limitato, pur essendo abituati a ruoli da protagonisti. Meritano allora una citazione: Benoît Poelvoorde, venditore di piscine in montagna, Guillaume Canet, Mathieu Amalric, Virginie Efira, allenatrice buona e Leila Bekhti, allenatrice cattiva con frustino sempre in mano; per non parlare del rocker senza mai un successo, Jean-Hugues Anglade, che si ostina a credere nel suo talento, la sempre brava Marina Foïs e la sorpresa Philippe Katerine.
Mauro Donzelli, Comingsoon.it, 14 maggio 2018