MARTEDì 3 luglio Ore 21.30 Chiostri di S.Corona - Vicenza |
Regia
Sou Abadi
Genere
COMMEDIA
Durata
88'
Anno
2017
Produzione
THE FILM, FRANCE 2 CINÉMA, MARS FILMS
Cast
Félix Moati (Armand/Shéhérazade), Camélia Jordana (Leila), William Lebghil (Mahmoud), Anne Alvaro (Mitra), Carl Malapa (Sinna), Laurent Delbecque (Nicolas), Oscar Copp (Fabrice/Farid), Oussama Kheddam (Mustafa), Walid Ben Mabrouk (Ahmed), Miki Manojlovic (Darius) |
Armand e Leila stanno pianificando di volare insieme a New York, ma pochi giorni prima della partenza, Mahmoud, fratello di Leila, fa il suo ritorno da un lungo soggiorno in Yemen, un'esperienza che lo ha cambiato... radicalmente. Ai suoi occhi, ora, lo stile di vita moderno della sorella offende il Profeta. L'unica soluzione è confinarla in casa e impedirle ogni contatto con il suo ragazzo. Ma Armand non ci sta e pur di liberare l'amata escogita un piano folle: indossare un burqa e spacciarsi per donna. Il suo nome d'arte? Shéhérazade. Quello che Armand non si aspetta è che la sua recita possa essere sin troppo convincente, al punto da attirargli le attenzioni amorose dello stesso Mahmoud.
Come recitava una massima che ripetevano i nostri nonni 'non tutto il male viene per nuocere'. Perché Sou Abadi stava lavorando a una produzione cinematografica in Israele che si è fermata e questo avvenimento l'ha spinta a rivolgere il suo sguardo all'interno delle sue stesse radici culturali. La regista iraniana Sou Abadi mette in scena una commedia sul tema molto attuale dell’integralismo religioso. Il terreno è scivoloso, ma le riesce di destreggiarsi con ironia senza apparire antimusulmana. Tra travestimenti, rovesciamenti di tè bollente addosso per bere con il chador e cibi sputati perché fatti con la gelatina di maiale, Due sotto il burqa è un film fin troppo semplice, ma trasmette il messaggio che studiando e interpretando in modo giusto il Corano si possono smantellare tutte le credenze estremiste. Scambi di persona, gioco degli equivoci, gag slapstick: questi elementi sono dei classici della commedia da sempre, lo scheletro di qualsiasi film comico che voglia provocare nel pubblico risate rumorose e di pancia. Il cinema ci ha insegnato che si può ridere di (quasi) tutto, ma cosa succede se a essere messi alla berlina sono temi delicati come la religione?
Trama
Critica
Ha così realizzato questo film che, grazie ai toni della commedia, è riuscito a raggiungere una vasta platea in Francia e ne merita una altrettanto ampia in Italia. Perché il sorriso, l'ironia e l'autoironia possono produrre talvolta più risultati positivi di saggi ed articoli paludati.
La regista non è non vuole essere antimusulmana ma è e sa essere antioscurantista. Mahmoud vuole imporre a Lila la sua volontà attraverso frasi fatte derivate dalla sua solo pretesa conoscenza del Corano che difatti inizia a comprendere meglio quando Armand/Sheherazade si trova costretto a documentarsi in materia per reggere il gioco e, di conseguenza, attraendone una focosa attenzione. Passando da Maometto a Victor Hugo si consuma la possibilità di una deradicalizzazione di un giovane uomo che ha visto la moschea affermarsi come l'unico luogo in cui poter socializzare in Francia. Leila ha imboccato una strada diversa e ha trovato l'amore (e un possibile futuro alle Nazioni Unite) in un Armand che deve fronteggiare le memore barricadiere dei genitori e, in particolare, della madre ancor oggi disposta a gesti eclatanti pur di poter sostenere idee libertarie. Tutto ciò sostenuto dal gioco del travestimento con tutte le varianti farsesche che possono derivarne ma che sono sempre tenute sotto controllo.
A Sou Abadi non interessa la sola risata di pancia (che a tratti comunque non manca). Quella che preferisce (e che sa come ottenere) coinvolge la testa senza però mai far leva su battute o situazioni xenofobe o comunque razziste. Leila e Armand provengono da quei mondi che vengono messi alla berlina ma non aderiscono alle loro storture. Hanno saputo guardare oltre e ci chiedono di ridere con loro non perché Sous Abadi pensi che una risata seppellirà la jihad ma perché, molto più semplicemente e realisticamente, ci potrà aiutare a saper distinguere. Sarebbe già il conseguimento di un ottimo risultato.
Giancarlo Zappoli, Mymovies.it, 12 luglio 2017
Giulia Lucchini, Cinematografo.it, 6 dicembre 2017
La regista Sou Abadi, documentarista che vive a Parigi da tempo, ha vissuto l'adolescenza in Iran all'inizio della rivoluzione islamica e, quando ha visto bloccato un progetto che stava realizzando in Israele, ha deciso di dedicarsi alla sua prima pellicola di finzione, in cui ridere di tutto ciò che ha reso difficile la sua vita e quella della sua famiglia. Per farlo ha scritto e diretto Due sotto il burqa, una versione personale di A qualcuno piace caldo di Billy Wilder. (...)
Facendo scontrare il rigore dell'integralismo religioso con la fantasia del cinema (tra i vari omaggi ce n'è anche uno esplicito a Shining di Stanley Kubrick, con una versione comica della scena cult dell'accetta per aprire la porta), Sou Abadi ha il coraggio di smantellare una a una le storture del fanatismo.
La regista denuncia la vita di repressione e la mancanza di libertà vissuta dalle donne nel Medio Oriente senza mai scadere nella volgarità o insultare la religione musulmana, ma porta agli estremi atteggiamenti e concetti per poterne ridere e quindi toglier loro forza.
In Due sotto il burqa a essere messa in discussione non è dunque la religione o la cultura islamica, ma il fanatismo in generale, che può appartenere a qualsiasi credo, dal cristianesimo all'ebraismo. La forza della pellicola di Abadi sta infatti nel mostrare come togliere la libertà a qualcuno sia in realtà l'opposto di quanto viene predicato dalla religione: se non possiamo scegliere come vivere la nostra vita ci allontaniamo sempre di più da un percorso di crescita personale e anche spirituale.
Accolto con entusiasmo in Francia, Due sotto al burqa, oltre a essere una commedia divertente, che può contare su un ottimo cast (tra cui la venticinquenne Camélia Jordana, cantante prestata al cinema che sta diventando sempre più popolare in terra gallica), è anche la migliore risposta al clima di tensione imposto dal terrorismo negli ultimi anni: ridere è un atto rivoluzionario, perché scaccia la paura e ci fa capire che nessuno è perfetto, anche chi si crede intoccabile e pensa di possedere la verità assoluta.
Valentina Ariete, Movieplayer.it, 7 dicembre 2017
(…) Commedia degli equivoci, ove nulla appare come sembra in un contesto che rimane realista e semiserio, rispettoso delle tematiche assai attuali su cui si poggia la vicenda.
Certo la giovane regista di origine iraniana Sou Abadi è conscia che, restando nel genere della commedia pura, i toni vanno necessariamente stemperati anche quando s parla di formazione al terrorismo, di incitamento all'odio razziale e allo sterminio dell'infedele, alla segregazione della donna verso un ruolo passivo e sottomesso ove nessun tratto distintivo di ella è bene che venga ostentato alla luce del sole.
E la storia si risolve in una sorta di variante di "A qualcuno piace caldo", dato che il fratello talebano della protagonista si innamorerà platonicamente della "ragazza" in burqa, facendo di tutto per averla in sposa, con un aggornamento alle dinamiche di una società mutirazziale che da una parte cerca di adattarsi a convivere nel rispetto reciproco, come ragonevolezza insegnerebbe, ma dall'altra riceve forti pressioni religiose e culturali per rinnegare tutto questo inevitabile necessario bisogno di rispetto e tolleranza.
Davvero simpatico il giovane e già noto attore Felix Moati ( Il medico di campagna, La vie trés privée de Monsieur Sim) quando veste gli impegnativissimi panni della ragazza in burqa: l'attore, occhi sgranati in un misto di terrore ed ostentazione del proprio tranello, dà vita a scenette esilaranti che, nella vicenda, gli richiedono una ben più completa preparazione ed informazione religiosa, che in qualche modo sarà in grado di far sua e di trasmettere al suo spasimante, riconducendolo in qualche modo alla ragione.... una volta svelate le carte del proprio diabolico progetto. Anche Anne Alvaro e Miki Maojlovic (attore balcanico noto per il famigerato Il macellaio con la Paretti, ma in verità attore di rilievo con ben altri maestri ed autori della sua terra) , madre progressista e fieramente opposistrice di ogni sorta di restrizione della libertà d'espressione nei confronti della donna e padre casalingo e remissivo, votato allo "zerbinaggio" nei confronti della inesauribile verve della consorte, sono due personaggi improbabili ma divertenti, per una commedia che ha il dono di rimanere in superficie, accennando di problematiche serie, ma senza perdere tempo a sfinirsi nella retorica.
Una volta ancora, il titolo originale, "Cherchez la femme", era decisamente più opportuno e malizioso di questo sciocco pasticcio italiano che non comunica nulla di interessante, se non scimmiottare le dinamiche di una gloriosa commedia scatenata anni '80 con Matthau e la Jackson (Due sotto il divano).
Alan Smithee, Filmtv.it, dicembre 2017
Sou Abadi
Nata a RASHT, (Iran) il 18 giugno 1968. Vive a Parigi dove dal 1994 lavora come montatrice per numerosi film, compreso "La nouvelle Eve" (1999) di Catherine Corsini. Nel 1997 dirige il documentario "Iraniens de France". L'esordio alla regia di lungometraggi è nel 2000 con "S.O.S. a Teheran".
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