Critica
“E mentre marciavi con l'anima in spalle vedesti un uomo in fondo alla valle che aveva il tuo stesso identico umore ma la divisa di un altro colore. Sparagli Piero, sparagli ora e dopo un colpo sparagli ancora fino a che tu non lo vedrai esangue, cadere in terra, a coprire il suo sangue”.
Le parole de La guerra di Piero di Fabrizio De Andrè sono tra le più adatte a rendere l'idea dello stato d'animo di una persona che si trova in guerra: divise a evidenziare confini invisibili, morte incombente, odio viscerale per un nemico senza volto, preso come simbolo di un intero popolo, che qualcuno ci ha ordinato di considerare il diavolo.
Per anni, il Capitano Joseph J. Blocker (Christian Bale) ha eseguito gli ordini combattendo e uccidendo senza pietà i pellerossa: si può immaginare quindi il suo stato d'animo quando il suo superiore, proprio poco prima di concedergli la pensione, gli intima di riaccompagnare tra la sua gente il capo Falco Giallo (Wes Studi), che sta morendo di cancro. Ancora una volta, il soldato esegue gli ordini, anche se il suo ultimo compito in divisa va contro tutto ciò che gli è stato insegnato fino a quel momento. Durante il percorso, al cammino di questi due poli opposti se ne aggiunge un terzo, Rosalie Quaid (Rosamund Pike), la cui famiglia è stata trucidata proprio da un gruppo di Comanche che volevano rubare i loro cavalli. Comincia in modo duro Hostiles - Ostili, quarto film di Scott Cooper, presentato come pellicola d'apertura alla dodicesima Festa del Cinema di Roma e in arrivo nelle sale italiane il 22 marzo, come sottolinea la frase di D.H. Lawrence, che apre il racconto: "Nella sua essenza, l'anima americana è dura, solitaria, stoica e assassina. Finora non si è mai ammorbidita". Proprio l'anima americana è ciò che sta a cuore al regista di Abingdon, Virginia, e non c'è luogo migliore per inquadrarla della frontiera.
Il vecchio west è la culla dell'epica americana e in esso è contenuta l'essenza di un intero paese, fondato su una conquista, sulla violenza perpetrata ai danni di un intero popolo sterminato senza pietà.
Cooper sceglie ancora una volta Bale, dopo Il fuoco della vendetta, come volto stoico e silenzioso su cui incanalare le proprie riflessioni: taciturno e dallo sguardo indurito, l'attore britannico stupisce con la sua capacità di creare mondi con semplici silenzi, che sembrano nutrirsi della bellezza e della durezza del territorio americano.
A intervallare la parsimonia di parole dei protagonisti, un flusso inarrestabile di violenza, che travolge sia chi la applica - come il Sergente Charles Wills interpretato da Ben Foster, ormai ubriaco di sangue e passato al Lato Oscuro, che uccide per il gusto di farlo e non per eseguire degli ordini -, sia chi la subisce, tanto da scatenare una lotta interiore nel protagonista, che presto si rende conto di aver lottato per dei confini immaginari: una volta visto da vicino, il nemico non è poi così diverso da noi.
Tra tante figure maschili, Rosamund Pike spicca con una forza diversa, quella di chi, nonostante i numerosi torti subiti, sa che per sopravvivere è necessario andare oltre, perdonare e cercare di fare squadra, come dimostra stabilendo un legame con le donne che accompagnano Falco Giallo, più che trasformarsi in "cavalieri della valle solitaria".
Splendidamente fotografato da Masanobu Takayanagi e montato da Tom Cross, premio Oscar nel 2015 e collaboratore di Damien Chazelle in Whiplash e La La Land, Hostiles è uno dei film più riusciti di Scott Cooper, in grado di riportare sul grande schermo l'atmosfera della frontiera americana e allo stesso tempo di renderla attuale, riflettendo su temi come tolleranza e perdono, che, in un'America (e non solo) in cui si parla di costruire muri, non possono non dialogare apertamente con il nostro presente.
Valentina Ariete, Movieplayer.it, 22 marzo 2018
Ancora una volta il cinema a stelle e strisce prova a confrontarsi con i demoni della storia del proprio paese. Quale genere migliore, se non il western, per tentare di riavvicinare le tante, troppe ambiguità politiche attuali con i fantasmi di ignobili “politiche” che in passato hanno contribuito a (s)fondare l’humus su cui erigere le fondamenta di un’intera nazione?
Hostiles di Scott Cooper (regista che dopo Crazy Heart, Out of Furnace e Black Mass conferma di avere a cuore i vari miti/ambiguità fondativi degli Stati Uniti) è un film che, attraverso la classicità e l’epica del canonico western “on the horses” prova a rintracciare il senso dell’umano all’interno di contesti e dinamiche dove il disumano ha preso il sopravvento. E non fa mistero alcuno, lungo il suo percorso, di farsi film-simbolo attraverso cui l’America tenta di espiare le proprie colpe in merito al trattamento riservato a suo tempo ai nativi.
Si torna allora al 1892. Le guerre indiane sono terminate e le popolazioni indigene ormai sconfitte vengono catturate e tenute prigioniere, per poi essere destinate alle varie riserve. A Fort Berringer, in New Mexico, è prigioniero da 7 anni Falco Giallo (Wes Studi), capo di guerra dei Cheyenne del Nord, ormai in fin di vita. Al capitano Joseph Blocker (Christian Bale), un tempo eroe di guerra ora carceriere, viene ordinato di riaccompagnarlo insieme ai suoi familiari nella nativa Valle dell’Orso, in Montana, per garantirgli una morte dignitosa.
La nobiltà dell’atto, ovviamente, è inversamente proporzionale alla natura meramente teatrale (e cinica) della sceneggiata: una volta lì, morto il patriarca, i suoi familiari dovranno essere “accompagnati” e imprigionati in una riserva.
Fieri nemici di tante sanguinose battaglie, nelle quali il capitano ha visto soccombere, e in malo modo, commilitoni e amici, Blocker e Falco Giallo, insieme ad altri soldati e ai familiari di quest’ultimo, si mettono in sella per affrontare questo sfiancante e insidioso viaggio di oltre 1.000 miglia. Lungo il quale s’imbattono in Rosalee Quaid (Rosamund Pike), traumatizzata superstite di un massacro da parte dei Comanche, dove ha visto soccombere il marito e tre figli. Ancora sconvolta, la donna si unisce al gruppo.
Magnifici campi lunghi e sguardo mai consolatorio, ottimo per quello che riguarda involucro e confezione (la fotografia di Masanobu Takayanagi, le musiche di Max Richter), Hostiles riesce a mantenere tutto sommato intatta la propria epica ma non sfugge al rischio di alcuni eccessi retorici, dove spesso i simbolismi (e le coincidenze, vedi l’entrata in scena di Ben Foster, un tempo sergente al fianco di Blocker, ora prossimo all’impiccagione per aver commesso una strage) hanno la meglio sulla tenuta del racconto, dei personaggi e dei pochi (purtroppo) non detti che invece avrebbero contribuito a fare del film un vero e proprio capolavoro.
Cosa che, poco più di dieci anni fa, era riuscita per esempio a Tommy Lee Jones con il suo film d’esordio, Le tre sepolture: viaggio, cavalli, espiazione…
Valerio Sammarco, Cinematografo.it, 21 marzo 2018
In pochissime battute, in un paio di scambi, si arriva al cuore vivo di Hostiles: i confini tra bene e male sono grigi, sottili, confusi e la vittima e il carnefice si confondono perché ognuno ha occupato, almeno in un momento della vita, l’uno o l’altro posto.
Oltre alla questione razziale e all’ingiustizia storica perpetrata ai danni dei nativi, questioni terribilmente e tristemente attuali, Cooper sembra voler raccontare anche l’universalità del male nella sua forma più democratica. Nessuno è risparmiato ma ognuno sceglie di viverlo nel modo che preferisce.
Chiaramente il film si avvale di personalità prestigiose, attori carismatici guidati da Christian Bale, che si lascia affiancare e sostituire in più di una situazione da Rosamund Pike, insieme a Wes Studi, figura affascinante ed eretta nella sua dignità di uomo alla fine dei suoi giorni.
Nonostante la dolente umanità che il regista mette in mostra, il film si attarda leggermente in una prima parte di presentazione, in cui sembra proporci una formula di western classico fine a se stessa, salvo poi crescere nella seconda parte con l’entrata in scena del personaggio di Ben Foster: scheggia impazzita o custode della verità?
Hostiles racconta, con la forma classica, rassicurante e selvaggia del western, il viaggio dello spirito attraverso la sofferenza, la perdita e la scelta di non abbandonarsi all’oscurità.
Chiara Guida, Cinefilos.it, 26 Ottobre 2017
Le cose, Scott Cooper, le mette in chiaro fin dall'inizio. Ancora prima della prima scena in cui la famiglia di Rosamund Pike, marito e tre figli, uno neonato, viene barbaramente uccisa da un gruppo di Comanche che vogliono rubare i loro cavalli. Lo fa con un esergo di D.H. Lawrence che recita: "Nella sua essenza, l’anima americana è dura, solitaria, stoica e assassina. Finora non si è mai ammorbidita". (…)
E' facile immaginare che il lungo viaggio dal Nuovo Messico fino al Montana, fatto da Bale assieme ad alcuni suoi fedelissimi e non, e dal vecchio capo con la sua famiglia, intercetterà lungo il cammino il personaggio della Pike. E ancora di più che quel viaggio, effettuato da personaggi che si portano appresso pesantissimi fardelli personali, sarà l'occasione per la nascita di una nuova consapevolezza, di una comprensione reciproca, di un'unione umana fatta nel sengno del futuro e a dispetto del passato.
Non sarà solo l'agire del capo, ad ammorbidire l'animo americano di Bale. Non saranno nemmeno le crisi di coscienza del suo amico più fedele (un bravissimo Rory Cochrane), né l'incontro con un altro commilitone che si è lasciato andare a quello che in Star Wars chiamerebbero il Lato Oscuro (Ben Foster).
Più di tutto, sarà il succedersi ininterrotto di eventi terribili, sempre e soltanto nel segno della violenza: aberrante, spregiudicata, immotivata. E in maniera sempre più evidente, più bianca che non indiana.
Silenzioso, contemplativo, attento allo studio dei volti e dei gesti come agli splendidi paesaggi naturali ben fotografati da Masanobu Takayanagi (che solo a tratti esagera coi controluce), Hostiles è e rimane quello che dall'inizio aveva dichiarato di voler essere: uno studio dell'animo americano duro, solitario, stoico e assassino. Un animo maschio, maschile, raccontato anche attraverso il male-bonding, contrapposto a quello femminile: perché la Pike, pur con la tragedia che l'ha colpita, stringe da subito un legame con le donne che accompagnano il capo indiano, quel legame che sono dopo innumerevoli spargimenti di sangue e seppellimenti di cadaveri arriverà a contagiare anche Bale (…).
Federico Gironi, Comingsoon.it, 26 ottobre 2017