MARTEDì 21 gennaio 2020 ore 15.30 - 18.00 - 20.30 MERCOLEDì 22 gennaio ore 15.30 - 17.45 - 20 - 22.10 GIOVEDì 23 gennaio ore 15.30 - 17.45 - 20 |
Regia
Michael Engler
Genere
DRAMMATICO
Durata
122'
Anno
2019
Produzione
CHRIS CROUCHER, RUPERT RYLE-HODGES PER CARNIVAL FILMS, FOCUS FEATURES; COPRODOTTO MASTERPIECE
Cast
Hugh Bonneville (Robert Crawley), Jessica Brown Findlay, Laura Carmichael (Lady Edith Crawley), Jim Carter (Charles Carson), Brendan Coyle (John Bates), Michelle Dockery (Lady Mary Crawley), Kevin Doyle (Joseph Molesley), Siobhan Finneran, Penelope Wilton (Isobel Crawley), Maggie Smith (Violet Crawley), Sophie McShera (Daisy Mason), Elizabeth McGovern (Cora Crawley), contessa di Grantham, Joanne Froggatt (Anna Bates) |
Ambientato in una casa di campagna edoardiana all'inizio del XX secolo il racconto della vita della famiglia Crawley e del personale di servizio che lavora per loro.
Tra le serie tv più celebri e più celebrate dell’ultimo decennio, Downton Abbey (2011-2016) – rispetto a tanti altri format per il piccolo schermo che continuano a sopravvivere stancamente – sarebbe potuta durare in eterno. Dopo 52 episodi e sei stagioni televisive, Downton Abbey fa il salto verso il grande schermo, soddisfacendo il desiderio dei milioni di fan orfani della loro serie preferita. Scrivendo la recensione di Downton Abbey si ha la stessa sensazione di quando abbiamo visto il film di Michael Engler, prosecuzione delle fortunatissima serie britannica andata in onda dal 2010 al 2015: quella di essere tornati a casa, in un luogo accogliente nel quale rifugiarsi per due ore, lasciando fuori dalla sala ogni preoccupazione. Questo soprattutto se lo spettatore ha visto i 52 episodi dello show, dato che il lungometraggio funge sostanzialmente da finale extralarge e chiude il cerchio, in tutti i sensi: la primissima sequenza, con il telegramma che annuncia l'evento che metterà in moto la trama del film, richiama esplicitamente l'incipit della puntata inaugurale, dove una missiva simile comunicava il naufragio del Titanic. E poi scatta il tema musicale di John Lunn e si intravede nuovamente la celeberrima dimora della famiglia Crawley, e lì è proprio il caso di dirlo: siamo tornati a casa.
Soggetto: Julian Fellowes – (personaggi)Trama
Critica
Proprio per questo, allora, ritrovare sul grande schermo la magnifica tenuta eponima e i personaggi che l’hanno abitata per sei stagioni (l’aristocratica famiglia Crawley e la squadra dei loro fedeli servitori) produce un effetto lontano dallo straniamento che altre operazioni simili spesso comportano.
Per chi conosce(va) le dinamiche della serie (ambientata fra il 1912 e il 1926), infatti, questa sorta di “Christmas Special” più lungo del consueto (123’) non fa altro che aggiungere un episodio alla longeva epopea creata e scritta da Julian Fellowes (che per il cinema, nel 2001, aveva già scritto anche il meraviglioso e molto simile Gosford Park di Robert Altman), autore a cui (per fortuna) si deve anche questo film.
“I nostri antenati vivevano diversamente da noi, i nostri discendenti vivranno diversamente da noi. Downton Abbey resterà per sempre”.
Il senso di tutto è proprio qui, nello splendido confronto finale tra la solita, monumentale Maggie Smith (l’anziana Violet Crawley) e la nipote Lady Mary (Michelle Dockery), seriamente dubbiosa su quella che dovrà essere la sorta della tenuta considerato il cambiamento dei tempi.
Ma la riflessione conclusiva è anteceduta dall’evento più impegnativo e al tempo stesso più emozionante che la famiglia Crawley abbia mai dovuto affrontare: ospitare per una notte i reali d’Inghilterra, le loro maestà Re Giorgio V e la Regina Maria.
La levatura dei visitatori crea scompiglio anche ai piani inferiori e nella macchina di solito ben oliata cominciano a formarsi delle crepe. Mary implora il pensionato Carson (Jim Carter) di ritornare alla casa, solo per questa volta, per supervisionare questo evento così importante, ma non tutto va come previsto.
Ai piani alti una dama di corte (Imelda Staunton) vecchia cugina di Robert Crawley (Hugh Bonneville) porta con sé il “segreto” che l’allontanò molti anni prima dalla famiglia, ai piani bassi l’arrivo della servitù reale capeggiata da un dispotico e insopportabile “paggio” rischia di mettere in un angolo l’intera squadra lavorativa di Downton Abbey.
È come sempre nella meravigliosa freschezza di un batti e ribatti non solamente dialettico che l’impianto orchestrato da Fellowes dà il meglio di sé, eccedendo forse quando si tratta di “costruire” situazioni un poco al limite (il fallito attentato al re, la nottata nel locale clandestino gay del maggiordomo Barrow…) ma salvaguardando in toto la natura originaria della sua creatura, portata sul grande schermo dal buon mestierante Michael Engler (che già aveva diretto qualche episodio della serie tv).
Un film che insomma non delude gli affezionati di Downton Abbey, capace anche di rivolgersi a chi la serie non l’ha mai vista (anche se l’intero vissuto di ogni singolo personaggio non può giocoforza essere restituito) e che, soprattutto, potrebbe non rimanere “episodio” isolato di una trasmigrazione che, chissà, potrebbe trovare sul grande schermo un nuovo luogo seriale d’elezione.
Valerio Sammarco, Cinematografo.it, 19 ottobre 2019
Per dare un'idea del successo di questa iniziativa commerciale basti pensare che negli Stati Uniti le prevendite del film hanno superato quelle di Once Upon a Time in Hollywood.
E la versione cinematografica della saga si rivela perfettamente aderente alle aspettative, un ingranaggio ben oliato e assemblato a regola d'arte: i personaggi restano fedeli alle rispettive caratterizzazioni ed entrano in dinamiche interrelazionali riconoscibili (anzi, anticipabili) dal pubblico degli aficionados, e anche se la trama non è particolarmente avvincente, ogni svolta della storia è seminata a dovere e raccolta al momento giusto, e l'atmosfera a base di tazze di tè, completi di tweed e "Dio salvi la regina" ha l'effetto rassicurante di un comfort food.
In questo senso Downton Abbey è il perfetto antidoto ai tempi disordinati e anarcoidi in cui viviamo: una sorta di anti Joker adatto a ricollocarci in un'epoca in cui il divario sociale si esprimeva in modo, per così dire, meno conflittuale. Certo, il film lascia chiaramente intendere che l'aristocrazia si sta avviando sul viale del tramonto e che certe caste e certi privilegi saranno (almeno in parte) sovvertiti: ma per il momento gli happy few vivono ancora di rendita, drappeggiati in meravigliosi costumi d'epoca e alloggiati in stanze sapientemente decorate e illuminate.
Il regista Michael Engler ha diretto vari episodi della serie televisiva e lo sceneggiatore del film è quello di sempre, Julian Fellowes, premio Oscar per il copione del film Gosford Park che, insieme alla serie televisiva British Upstairs Downstairs, è il predecessore dichiarato di Downton Abbey nel raccontare le esistenze parallele degli aristocratici al piano di sopra e della servitù a quello di sotto.
Fellowes tiene la politica a distanza e si concentra sui rapporti fra i personaggi, spesso colorati da attrazione e sentimento. Tutto molto familiare, tutto irresistibilmente piacevole. Le rare scintille sono lasciate all'impareggiabile Maggie Smith nel ruolo della contessa Violet che battibecca con Isobel Merton e lancia frecciate a Lady Bagshaw, cugina e dama di compagnia della regina, interpretate rispettivamente da Penelope Wilton e Imelda Staunton. Al punto che viene spontaneo chiedersi se il prossimo episodio non possa essere uno spin off con le tre leonesse come protagoniste assolute.
Paola Casella, Mymovies.it, 19 ottobre 2019
La storia di Downton Abbey si svolge nel 1927, circa un anno e mezzo dopo gli eventi del finale della serie, che si concludeva il primo gennaio 1926. La vita a Downton procede più o meno come sempre, fino al momento in cui Robert Crawley (Hugh Bonneville) riceve una notizia di un certo peso: i reali inglesi passeranno la notte a casa sua mentre visitano lo Yorkshire. Partono dunque i preparativi, con un entusiasmo che attraversa tutto il paesino. Non mancano però le tensioni, in particolare quando Lady Violet (Maggie Smith) viene a sapere della cosa, dato che tra lei e Lady Bagshaw (Imelda Staunton), parente lontana nonché dama di compagnia della regina, non corre buon sangue per una vecchia questione di eredità. Anche lo staff di Downton esprime un certo disappunto quando emerge che durante la visita dei reali sarà il personale di Buckingham Palace a sbrigare tutte le faccende domestiche, notizia che mette a dura prova anche lo stoico Mr. Carson (Jim Carter), il quale ritorna al servizio dei Crawley apposta per dare una mano per l'occasione.
Michael Engler aveva già diretto l'episodio di commiato di Downton Abbey, il che assicura una coerenza visiva che con il grande schermo non affievolisce, avendo il mantenuto un'estetica elegante ed ambiziosa degna dei migliori film in costume. Torna anche il creatore Julian Fellowes, con un copione che rispolvera il sistema delle classi sociali britanniche con la solita sagacia, senza dimenticare i dialoghi calibrati al millimetro, da ascoltare rigorosamente in originale per apprezzare il sarcasmo tipicamente british di personaggi come Violet, un'autentica miniera d'oro per quanto riguarda le frasi più memorabili del film ("Io non litigo. Spiego.").
Proprio il lavoro sui personaggi è la cosa che colpisce di più nella transizione dal piccolo al grande schermo: avendo a disposizione solo due ore per raccontare questa nuova storia, cioè un quarto della durata media di una stagione del prototipo, Fellowes ed Engler si assicurano che ci sia pane a sufficienza per i denti di ognuno (con l'eccezione parziale di Henry Talbot, ridotto a un cameo a causa di altri impegni lavorativi di Matthew Goode). Anche se in realtà la vera protagonista rimane lei, la dimora di Downton, e proprio in tale ottica si può leggere una battuta che allude a un modo di continuare a raccontare queste storie senza per forza ricorrere al cast originale: chissà cosa avrebbero da dire, novant'anni dopo, i nuovi Crawley a proposito della Brexit...
Come abbiamo già detto, il film è un vero e proprio sequel della serie Downton Abbey, anzi, praticamente un finale esteso (la porta rimane aperta, ma si respira un'aria di chiusura piuttosto definitiva in certi punti). Pertanto i neofiti rischiano in parte di apprezzarlo di meno: da un lato la struttura è volutamente accessibile per chi non ha mai visto un episodio della serie, senza perdersi in infiniti cunicoli legati alla continuity e con una premessa che, per quanto ambiziosa, non differisce più di tanto dal livello non esattamente epocale degli eventi-chiave dello show; dall'altro alcuni archi narrativi specifici, legati a singoli personaggi, perdono una minima quantità di spessore (pensiamo soprattutto a Thomas Barrow, che nelle prime due stagioni era praticamente un antagonista e in questa sede diventa una splendida figura tragica, sfruttando il format cinematografico per approfondire aspetti che sul piccolo schermo erano per lo più accennati). In entrambi i casi, però, ci sa avvolgere in quella magnifica coperta di rassicurante intrattenimento intelligente, due ore di viaggio nel passato che, dalla prima all'ultima inquadratura, sanno di grande, piacevolissima rimpatriata. Anche per coloro che proprio in questa sede si faranno conquistare per la prima volta dalle note di Lunn e dalle freddure di Violet. Che sia la prima visita o la centesima, Downton sarà sempre lì, in un modo o nell'altro.
Max Borg, Movieplayer.it, 24 ottobre 2019Altre informazioni
Sceneggiatura: Julian Fellowes
Fotografia: Ben Smithard
Musiche: John Lunn
Montaggio: Mark Day
Scenografia: Donal Woods
Costumi: Anna Robbins (Anna Mary Scott Robbins)
Effetti: Duncan Williams - (visivi), Framestore
Tratto da: adattamento serie Tv creata da Julian Fellowes
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