MARTEDì 14 gennaio 2020 |
Regia
Todd Phillips
Genere
AZIONE, POLIZIESCO, AVVENTURA
Durata
118'
Anno
2019
Produzione
TODD PHILLIPS, BRADLEY COOPER, EMMA TILLINGER KOSKOFF PER JOINT EFFORT
Cast
Joaquin Phoenix (Arthur Fleck/Joker), Robert De Niro (Murray Franklin), Zazie Beetz (Sophie Dumond), Frances Conroy (Penny Fleck), Brett Cullen (Thomas Wayne), Glenn Fleshler (Randall), Bill Camp (Detective Garrity), Shea Whigham (Detective Burke), Marc Maron (Gene Ufland), Douglas Hodge (Alfred Pennyworth), Josh Pais (Hoyt Vaughn), Leigh Burton Gill (Gary), Brian Tyree Henry (Carl), Gary Gulman (Se stesso), Sam Morril (Se stesso) |
Incentrato sulla figura dell'iconico villain, il film è uno stand-alone originale, diverso da qualsiasi altro film tratto dai comics apparso sul grande schermo fino ad ora. L'esplorazione su Arthur Fleck, un uomo profondamente turbato e ignorato dalla società, non è soltanto uno studio crudo e affascinante del personaggio, ma una storia più ampia che si prefigge di lasciare un insegnamento, un monito.
Il Joker che (non) ti aspetti. Quello che da stand-alone – il primo per il personaggio dei fumetti DC Comics – può permettersi il lusso di fare di testa propria, Todd Phillips alla regia, Scott Silver in scrittura, e trovare un altro mondo possibile, un altro modo probabile di dischiudere il sorriso, e Ridi pagliaccio. La madre gli diceva che “ha uno scopo: portare risate e gioia nel mondo” e Arthur Fleck ci crede, a modo e mondo suo. Il soggetto è “fuori tutto”, come il cartello che piroetta fuori da un negozio e che gli verrà spaccato in faccia. Si presenta con una carta, il Fleck di Todd Phillips, ma non è una carta da gioco: è il documento di una malattia mentale, che lo rende un emarginato, un rifiuto della società, come ci dice la prima sequenza del film, sovrapponendo al suo volto la cronaca di una città allo sbando, sommersa dalla spazzatura fisica e metaforica. Siamo sicuri che questa recensione di Joker porterà il sorriso sulle labbra di molti nostri lettori e appassionati di fumetti. Perché, per una volta, tutte le voci girate negli ultimi mese non erano affatto esagerate: quello di Todd Phillips è veramente un gran bel film e l'interpretazione di Joaquin Phoenix davvero degna di un Oscar.
Sceneggiatura: Todd Phillips, Scott SilverTrama
Critica
Disadattato, schizzato, bullizzato ed emarginati, Arthur non vive, sopravvive, sopra tutto a se stesso, ma anche la madre non scherza: teledipendente, querula, consunta. E non basta: pretende il padre di Arthur sia Thomas Wayne, il magnate di Gotham, e chissà se lo è davvero.
Lavora come clown, Arthur, con altri freaks per destino prima che professione: si esibisce, anche per i bambini, e forse portarsi appresso la pistola all’ospedale pediatrico non è il massimo. Licenziato, si butta nello spettacolo, agogna raggiungere il suo mito, Murray Franklin, un conduttore televisivo che gli accende un altro lume della sragione: the show must go on, e quello di Arthur battezzato per sfottò Joker si fa involontariamente catalizzatore dell’insofferrenza popolare, per una città invasa dai ratti, sovrappopolata dall’immondizia, sperequata tra chi, Wayne e sodali, ha tutto, e chi niente, Arthur, nemmeno la possibilità di continuare a essere curato.
La sanità mentale non abita qui, e Joker non farà prigionieri: l’umiliato e l’offeso è l’alfiere imprevisto e improbabile della riscossa popolare, della rivincita degli ultimi sui primi, della guerriglia e del saccheggio urbano, e le maschere di una nuova (V per) vendetta avranno i suoi tratti, la sua bocca ferita e gli occhi che piangono stupor mundi e horror vacui.
Non ci sarebbe Joker, film e personaggio, senza Joaquin Phoenix, che come Jack Nicholson e Heath Ledger (non Jared Leto) si fa trovare pronto al ruolo, di più, al voltaggio esistenziale del villain: prova totale e totalizzante, balla, ride, s’intorcina, dà e prende, aria, emozioni, precipizio e fatalità.
Un one freak show che passa per farmaci e non farmaci, paura e delirio senza colpo ferire e, per allucinazione e realtà, senza immagine cambiare, ed è un problema: alla regia Todd Phillips si porta più che dignitosamente, ma non ha mai la capacità di svoltare, di sparigliare, di sorprendere. Il film è soggiogato dal suo dittatoriale protagonista, spesso si fa trasportare anziché prenderlo in carico: ripete, si ripete, itera, trovando un percorso psicologico non pienamente espresso, un ancoraggio alla storia di Joker per come lo conosciamo – alla voce, perle… – non pienamente compreso.
Però, Phoenix può tutto o quasi, anche prendere il testimone da Robert De Niro (Murray Franklin) e farsi re per una notte, prendere il calco dal serial killer di fine Anni Settanta Killer Clown e farsi mostro con licenza di uccidere. I colori sono saturi, il dolore e la sopportazione pure: s’alza il vento bisogna tentar di sopravviversi.
Federico Pontiggia, Cinematografo.it, 31 Agosto 2019
Primo stand-alone sul più famoso villain della DC Comics, il film di Todd Phillips esplora dunque la nascita di un mostro prodotto dalla società stessa, creato e nutrito da illusioni e delusioni, maltrattamenti fisici e psichici, nell'epoca che mescola spettacolo pubblico e degrado morale.
Ambientata nei primi anni '80, l'origin story diretta, prodotta e co-scritta da Phillips colma i vuoti strategici lasciati nel passato del personaggio, mescolando le indicazioni di Alan Moore e Brian Bolland con la cronaca vera americana e con l'omaggio al cinema coevo di Scorsese, Re per una notte e Taxi Driver in particolare. Parallelamente alla costruzione narrativa della maschera di Joker, siamo invitati ad assistere alla costruzione interpretativa del personaggio che Joaquin Phoenix compie sotto i nostri occhi, trasformandosi fisicamente in altro da sé, aggiungendo energia man mano che perde peso, liberandosi progressivamente dal diktat del sorriso socialmente conveniente ("It's so hard to be Happy all the time") per riscrivere radicalmente e alla propria maniera le regole della commedia della vita.
Niente che non funzioni nel meccanismo: il film cresce, una scena alla volta, come un assembrarsi di folla, perfettamente oliato, come il dialogo in diretta televisiva tra Joker e Rober "Murray" De Niro, ma in fondo Joker non aggiunge al personaggio niente che faccia davvero la differenza rispetto a quanto abbiamo imparato su di lui in The Dark Knight e il contributo della regia non è paragonabile a quanto costruito a suo tempo da Nolan.
Joaquin Phoenix è lasciato solo al centro del film, com'è solo Arthur Fleck, senza ancora un arcinemico per cui vivere: il suo Joker è tutto ciò che c'è da vedere e va a ragione ad iscriversi ai primi posti nella lista dei tanti volti dell' "uomo che ride", vendicatore psicotico di chi non l'ha capito, delirante (delusional) illusionista, capace di fondere nella propria immagine quella di Heath Ledger e di Anton Chigurh, Honka, Chaplin e Andy Kaufman, senza mai assomigliare a nessun altro.
Marianna Cappi, Cinematografo.it, 31 agosto 2019
Primo superhero movie in concorso in un festival internazionale (Mostra del Cinema di Venezia 76), Joker è innanzitutto un film dal deciso piglio autoriale, che non prevede alcuna concessione alle logiche commerciali dei blockbuster: nessuna necessità di scene d'azione, di una storia d'amore, di un eroe o di una qualche redenzione. Rispetto agli altri film della DC (ma anche della Marvel ovviamente) siamo davvero agli antipodi; tanto che, in retrospettiva, anche un'operazione coraggiosa come quella della trilogia nolaniana sembra ormai vecchia (per quanto comunque straordinaria) rispetto a questa vera e propria rivoluzione.
Il protagonista del film Joker è appunto Arthur Fleck, un uomo asociale che vive da solo con la vecchia madre malata, affetto da non meglio precisate malattie mentali, tra cui un raro disturbo che lo porta a ridere in modo sguaiato e ininterrotto quando si trova in situazioni di disagio e difficoltà. Il suo sogno è quello di diventare un cabarettista, e magari essere un giorno ospite del suo show televisivo preferito, quello condotto dal comico Murray Franklin, ma nel frattempo si arrabatta come può travestendosi di clown.
Il film segue le sue disavventure in una Gotham inospitale e sull'orlo della rivolta, in cui l'unica speranza sembra essere data dalla discesa in campo politico del miliardario Thomas Wayne. In questo contesto Arthur si ritrova suo malgrado risucchiato in una spirale autodistruttiva di violenza che lo porterà ad avvicinarsi al personaggio che tutti conosciamo, uno dei più celebri villain della cultura pop. Ma per una volta è lui il protagonista, è suo il punto di vista che condividiamo fin dall'inizio, ed è proprio questo a rendere il tutto molto più affascinante. Il personaggio del Joker viene quindi trattato come antieroe qual è anche nel fumetto, ma allo stesso tempo viene inserito in un mondo che sembra provenire non tanto dall'universo della DC Comics, ma dai film della New Hollywood, quelli di Scorsese in primis.
Proprio l'ambientazione iperrealistica del film, una Gotham violenta e sporca ma niente affatto distopica, rappresenta forse la più grande novità di questo Joker. Semplicemente perché Todd Phillips dà l'impressione di aver lavorato in modo opposto rispetto a quanto si fa normalmente con i cinecomic: ovvero non ha cercato di introdurre degli elementi realistici o attuali dentro il mondo dei fumetti, ma piuttosto ha preso il personaggio ideato da Bob Kane e i suoi ideali anarchici e li ha inseriti nella New York/Gotham dei primi anni '80. La differenza è sottile ma sostanziale, e fa sì che si generi un incredibile cortocircuito cinefilo tra il cinema di oggi, più spettacolare che concreto, e quello di una volta, più politicamente e socialmente impegnato.
Abbiamo già citato Martin Scorsese, ma d'altronde i riferimenti al suo cinema (Taxi Driver in primis, ma anche Re per una notte) sono veramente evidenti e anche la presenza nel cast anche di Robert De Niro lascia pochi dubbi. Nel film di Phillips lo spirito di quel cinema ormai lontano si sposa perfettamente con un personaggio come quello di Joker, tanto che Arthur Fleck può tranquillamente essere avvicinato ad un personaggio emblematico quale Travis Bickle. In fondo basta sostituire la celebre "stai parlando con me?" con "stai ridendo di me?" ed il gioco è presto fatto.
Ma quello che davvero sorprende è come, con questo mix di personaggi di fantasia e atmosfere e temi vecchi quarant'anni, Joker riesca comunque a raccontare il mondo di oggi, e a rendere in modo così preciso un male tipico sopratutto dei giovani dei nostri giorni: il disagio di non sentirsi rappresentati, quel senso di trascuratezza e abbandono nonché di superiorità da parte di coloro che contano. Quanti oggi si sentono derisi e trattati come clown, sui social e in TV, da politici e personaggi altolocati, ricchi e potenti? E quanti continuano giornalmente a ricorrere alla violenza pur di farsi notare ed ascoltare in un mondo che li reputa invisibili ed inutili?
Se tutto questo sfocia in un film tanto bello quanto misurato, il merito è quasi tutto del suo mostruoso protagonista: Joaquin Phoenix offre una nuova personalissima rielaborazione di un personaggio che ben conosciamo, e regala al suo Joker una profondità e una tragicità che finora era sempre mancata sul grande schermo. Se quello di Heath Ledger rimarrà per sempre nella storia del cinema per il suo carisma, le sue battute leggendarie ed una caratterizzazione più unica che rara, il Joker di Phoenix è un personaggio molto più completo, più reale, e con cui è molto facile empatizzare.
Ogni sua risata è una richiesta di aiuto, ogni passo di danza un ulteriore avvicinamento alla follia. Perché l'Arthur che conosciamo all'inizio del film pazzo non lo è affatto, ma "semplicemente" malato e vittima di una società (e una madre) che lo ha alienato. Il processo di trasformazione di Joaquin Phoenix è sottile ma impressionante, ed è facile immaginare che anche l'Academy non avrà problemi a riconoscerne, quantomeno con un candidatura, gli indiscussi meriti.
Ma sarebbe ingiusto chiudere questa recensione senza prima elogiare il grandissimo lavoro di Todd Phillips, un regista che finora si era dedicato solo alla commedia (lo ricordiamo soprattutto per la trilogia di Una notte da leoni) ma che in Joker è riuscito a stupirci in un modo che non credevamo possibile. La sua regia è misurata e quasi sempre al servizio del suo incredibile attore, ma al tempo stesso riesce a rendere benissimo l'atmosfera moribonda di una città e una popolazione al limite.
Un'altra cosa che colpisce della sua regia e sceneggiatura è la maturità e l'equilibrio con cui è riuscito ad inserire in Joker citazioni e riferimenti al mondo DC: c'è ovviamente un piccolo Bruce Wayne, ci sono citazioni palesi ad opere precedenti (Il cavaliere oscuro di Nolan o The Killing Joke di Alan Moore) e anche una buona trovata a livello di trama, potenzialmente esplosiva per l'intero canone, che saggiamente decide di lasciare ambigua e non risolta. Ecco, forse l'unico vero appunto che alcuni potranno fare a questo Joker è quello di non aver osato di più in questi termini, e di non aver voluto inserirsi in maniera più netta e decisa nel filone cinematografico pre-esistente. Ma si tratta di un peccato davvero veniale che siamo ben felici di perdonare, a patto però che questo sia solo l'inizio di un nuovo modo di affrontare i cinecomic.
Luca Liguori, Movieplayer.it, 31 agosto 2019Altre informazioni
Fotografia: Lawrence Sher
Musiche: Hildur Guðnadóttir
Montaggio: Jeff Groth
Scenografia: Mark Friedberg
Costumi: Mark Bridges
Effetti: Shade VFX, ScanlineVFX, Branch VFX
Tratto da: basato sui personaggi della DC Comics
credits: