MARTEDì 3 dicembre 2019 ore 15.30 - 18 - 20.30 ore 21.00 (V.O. con sottotitoli - Sala Lampertico) MERCOLEDì 4 dicembre ore 15 - 17.30 - 20 - 22.10 GIOVEDì 5 dicembre ore 15 - 17.30 - 20 |
Regia
James Gray
Genere
DRAMMATICO, AVVENTURA
Durata
124'
Anno
2019
Produzione
BRAD PITT, DEDE GARDNER, JEREMY KLEINER, JAMES GRAY, ANTHONY KATAGAS, RODRIGO TEIXEIRA, ARNON MILCHAN PER PLAN B ENTERTAINMENT, RT FEATURES, NEW REGENCY PICTURES
Cast
Brad Pitt (Roy McBride), Tommy Lee Jones (H. Clifford McBride), Ruth Negga (Helen Lantos), Liv Tyler (Eve), Donald Sutherland (Colonnello Tom Pruitt), John Ortiz (Generale Rivas), Greg Bryk (Chip Garnes), Kimberly Elise (Lorraine Deavers), Loren Dean (Donald Stanford), John Finn (Stroud), Kimmy Shields (Sergente Romano), Sean Blakemore (Willy Levant), Daniel Sauli (Sal), Alyson Reed (Janice Collins), Ravi Kapoor (Arjun Dhariwal) |
L'astronauta Roy McBride viaggia verso i confini esterni del sistema solare per trovare il padre scomparso e svelare un mistero che minaccia la sopravvivenza del nostro pianeta. Questo viaggio svelerà segreti che sfidano la natura dell'esistenza umana e il suo posto nel cosmo.
Se James Gray fosse un colore, sarebbe quello di una fiamma che arde nella notte. L'autore newyorkese ha costruito in una manciata di film sontuosi (Little Odessa, The Yards, I padroni della notte, Two Lovers, Civiltà perduta) un universo potente abitato da personaggi struggenti, radicati nella comunità ebraica di New York. Ebrei russi che occupano i ranghi della polizia o della criminalità, proletari del Queens o di Little Odessa, mai trattati al cinema prima di James Gray. Prodotto e interpretato da Brad Pitt (è praticamente in ogni sequenza, fisicamente o con la voce over del flusso di coscienza), il primo film di fantascienza diretto da James Gray è un fluttuare continuo nei meandri esistenzialisti e filosofici – con derive kafkiane – della natura umana, debitore in modo plateale (fuori tempo massimo, forse?) di modelli cari tanto al cinema di Tarkovskij quanto all’estetica di Malick, oltre all’evidente rimando a Cuore di tenebra di Joseph Conrad.
Soggetto: James Gray, Ethan GrossTrama
Critica
Colone nero dunque irradiato da baleni solari. E su quei lampi di luce si accende Ad Astra, che affida al titolo la destinazione e al racconto le asperità (per aspera) dell'impresa. Un buio perfetto si accende di rosso e poi di giallo. Quello che accade è incerto, quello che è certo è la bellezza del prologo, la sua atmosfera onirica, la qualità del silenzio, dell'inquadratura, della luce. Siamo dopotutto in un film di James Gray, un uomo che trasforma in oro sensoriale tutto quello che filma.
Gray ritorna sull'idea che guida da sempre il suo cinema e che è il principio stesso della tragedia: qualsiasi cosa facciamo non possiamo fuggire il nostro passato. Di nuovo è una questione di padri e di figli, di padri megalomani che conducono i propri figli nelle segrete dei loro sogni fatali. Se ieri era una civiltà perduta in Amazzonia, oggi è una forma di vita intelligente nell'Universo. Una spedizione esplorativa prende un'altra dimensione liberando, questa volta in assenza di gravità, le forze contraddittorie che guidano il desiderio (ossessivo) di avventura e di conoscenza. Ma Ad Astra non è il semplice racconto di un'ossessione, attraverso la science fiction il regista dispiega le questioni che nutrono i suoi film: il dilemma tra diverse fedeltà conflittuali. Come restare fedeli a se stessi senza tradire i propri padri? Diventare un uomo è inscriversi nel seguito di una storia familiare o è rompere con la legge del padre, scrivendo le proprie pagine? Dominare o subire il proprio destino? Il montaggio diventa nel film l'essenza stessa di una ricerca quasi metafisica di quello che unisce e separa spazi e universi antinomici, quello che divide gli uomini e le donne, i padri e i figli. Il Maggiore McBride farà esperienza dell'altro, un padre visto da vicino. A guidarlo è quello che muove da sempre i personaggi di James Gray, il desiderio, un desiderio sempre legato a una mancanza e a quello che ci proiettano. Quello che in superficie assomiglia a un viaggio spettacolare si fa progressivamente spazio-opera intimo che avvolge lo spettatore, alla deriva come il suo protagonista.
Nel tempo infinito dello spazio, Gray indaga una forma di sterilità morale e affettiva che minaccia l'estinzione dell'umanità. Attraversato da pulsioni nichiliste, il personaggio di Tommy Lee Jones sembra accogliere lo spazio come una tomba contro la volontà irriducibile del figlio di vivere e di tornare coi piedi per Terra. Nel vuoto intersiderale creato dagli effetti speciali e risalito come un fiume dal suo eroe conradiano, Ad Astra fatica a recuperare una storia in caduta libera tra lutto e perdita, trauma e rielaborazione.
Fuori dalla giungla metropolitana e da quella lussureggiante dell'Amazzonia, il vuoto spaziale impone la sua legge con un senso di infinitezza che l'autore esplora a meraviglia, soprattutto nella prima sequenza su una base in orbita, ma fatica a tenere in asse. A farlo atterrare 'manualmente' lungo la rotta prevista ci pensa Brad Pitt, presenza costante sullo schermo che impiega ogni occasione offerta, dai dialoghi ai monologhi interiori passando per i silenzi, per donare spessore e ambiguità al suo personaggio. Interprete e produttore, assume con impressionante naturalezza e un senso di elegante fatalità la disperazione del suo cosmonauta facendone il centro di gravità del film.
Un film greve e angosciante che va in fondo, va oltre disegnando un percorso di rielaborazione più sottile: l'accettazione dell'età adulta e del dolore che comporta. Da ultimo, potremmo azzardare un lignaggio cinematografico per definire Ad Astra, Stanley Kubrick per la descrizione dei meccanismi astratti che muovono gli individui, David Lean per il gusto dell'epopea, Luchino Visconti per la maledizione dei legami di sangue, ma rischieremmo di sminuire la singolarità del lavoro di James Gray, che combina con grande sottigliezza tutti gli assunti. A suo agio nei bassifondi criminali o sulle spiagge di Brighton Beach, con la testa fra le stelle è soltanto meno ispirato. Aspetteremo che trovi o ritrovi il suo 'spazio'.
Marzia Gandolfi, Mymoves.it, 29 agosto 2019
Operazione ultra ambiziosa, con postproduzione lunghissima e travagliata, Ad Astra seduce ed ipnotizza (fondamentale il lavoro del direttore della fotografia Hoyte Van Hoytema e l’apporto di Max Richter alla colonna sonora), ci chiede di affrontare questo peregrinaggio intergalattico (a tappe, prima la Luna ormai avamposto degli umani raggiungibile con shuttle commerciali dotati di hostess e qualsivoglia comfort, poi Marte, pianeta ormai semi-colonizzato, infine l’avvicinamento-thrilling a Nettuno) con lo stesso spaesamento del personaggio protagonista, finito in un ingranaggio stritolante – che cosa è accaduto, veramente, durante la missione del Lima Project? – ma mosso dal miraggio di poter ridurre quella distanza padre-figlio che fino a poco prima, e per molto tempo, riteneva definitivamente incolmabile.
“La Terra credeva in lui”. E, di conseguenza, Roy McBride da ragazzino decide di seguire le orme di questo padre idealizzato e avvolto da un’aura che l’assenza ha contribuito a mitizzare. Ma allo stesso tempo quel vuoto ha contribuito a formare un uomo solitario e incapace di esternare i propri sentimenti (le apparizioni quasi sempre silenziose di Liv Tyler sono il ricordo di un amore travagliato o la proiezione di un rapporto idealizzato, inesistente?), alle prese con continui e asettici test psicologici-attitudinali.
Come sempre, il cinema di James Gray prova ad indagare il senso delle relazioni familiari ed esalta il senso della ricerca quale motore indefesso che anima i suoi personaggi e, di conseguenza, la narrazione. A tal proposito, allora, Ad Astra rappresenta il balzo nell’ignoto profondo compiuto quale contraltare del precedente Civiltà perduta (2017), capolavoro tratto dal libro di David Grann, ispirato alla vera storia del leggendario esploratore britannico Percy Fawcett: “Era la storia di una persona per la quale la ricerca significava tutto”, disse all’epoca il regista.
Dall’inattualità di un’adventure-movie che attraverso l’esplorazione di giungle inospitali sprofondava negli abissi dell’esplorazione antropologica e umana al lirismo di un’estetica che stordisce visivamente e che ci inghiotte nel buio del silenzio cosmico, il passo è più breve di quanto possa apparire.
Sicuramente meno radicale e coraggioso del film precedente, Ad Astra – al netto di qualche inserto francamente superfluo e rivedibile (i predoni sulla Luna, le scimmie cannibali in orbita (evoluzione dei primati di kubrickiana memoria?…) – non perde comunque mai la sua innegabile forza attrattiva, fluttuando senza soluzione di continuità tra lo sguardo e il senso più profondo della visione.
Valerio Sammarco, Cinematografo.it, 29 Agosto 2019Altre informazioni
Sceneggiatura: James Gray, Ethan Gross
Fotografia: Hoyte Van Hoytema
Musiche: Max Richter
Montaggio: John Axelrad, Lee Haugen
Scenografia: Kevin Thompson
Arredamento: Karen O'Hara Costumi: Albert Wolsky
Effetti: Allen Maris, Darren Christie, Tony Como, Christopher Downs, Weta Digital Ltd., Atomic Fiction, Shade VFX
Suono: Lisa J. Levine, Michael Miller (III)
credits: