Critica
È chiaramente una nuova Armata Brancaleone quella che Giovanni Veronesi vuole portare sui grandi schermi, anche se la creatività linguistica è affidata principalmente a D'Artagnan ed è frutto del genio attoriale di Pierfrancesco Favino, che inventa un grammelot misto di spagnolo, francese e italiano dialettale (gli altri moschettieri si esprimono nei loro accenti personali, e con vocaboli contemporanei).
È comunque nei calembour che Moschettieri del Re trova la sua cifra comica: la sceneggiatura è di Veronesi insieme a Nicola Baldoni, evidentemente abili nell'uso comico della parola. Le interazioni verbali restano divertenti e ben congegnate dall'inizio alla fine, con l'aggiunta di parecchie e opportune improvvisazioni.
L'altro asso nella manica di Veronesi sono infatti gli attori. I tempi comici migliori appartengono a Favino, a Margherita Buy nei panni della regina Anna e, a sorpresa, a Matilde Gioli, che interpreta un'ancella peccaminosa e saputella con grande autoironia. L'interazione fra questo gruppo di amici e colleghi cari al pubblico e molto affiatati fra di loro sarà il richiamo principale di questa storia per il resto piuttosto scombinata, e con un finale da spot del pandoro (che nelle intenzioni probabilmente era "alla Big Fish") davvero incongruente con lo spirito dissacrante del resto del film.
Il tallone d'Achille di Moschettieri del Re è la regia, che nonostante i notevoli passi avanti fatti da Veronesi nella gestione delle scene di azione e dei quadri d'insieme stenta a mantenere la tensione comica necessaria a collegare i siparietti fra i personaggi e cede al "buonismo" finale. Ma la confezione resta di livello: i costumi di Alessandro Lai, le luci al posto giusto, con tanto di evocazioni pittoriche (la fotografia, come sempre nei film di Veronesi, è di Tani Canevari), le scenografie di Tonino Zera.
Paola Casella, Mymovies.it, 18 dicembre 2018
Film che è un misto fra "L'ARMATA BRANCALEONE" , "I QUATTRO MOSCHETTIERI" di Bragaglia e i tre di Lester, "ATTILA IL FLAGELLO DI DIO" e, persino, la commedia musicale con il Quartetto Cetra (ma senza canzoni, se si escludono gli "stornelli" di Rocco Papaleo). Ne viene fuori una commedia divertente, con un cast ricco e assortito di attori italiani famosi, fra cui spiccano il Portos di Mastandrea e il d'Artagnan di Favino, che parla come il Clouseau di Sellers. Vedere i moschettieri affrontare la crisi di mezza età è geniale, come le trovate del servo muto e dell'armiere in stile Q dei film di James Bond. Guasconata senza una vera e propria sceneggiatura di fondo (la regina chiama i moschettoieri per proteggeri gli Ugonotti perchPerseguitati dal crdinale Mazzarino, ma dopo un pò ci si scorda degli Ugonotti e si passa al rapimwento del giovane Luigi XIV, preso in gieo per le sue verruche, manco fosse un personaggio alla Mel Brooks), dove però conta l'amicizia che intrercorre fra i quattero eroi: RIspetto a "LI CHIAMAVANO I TRE MOSCHETTIERI...INVECE ERANO QUATTRO", (ultimo film italiano sui moschettieri, datato 1974, prima di questo, che mischiava la farsa - si andava in cerca del pitale della regina Luciana Turina , preso per sbaglio dal duca di Buckingham Salvatore Baccaro che lo scambia per il suo cappello -, le risse alla Bud Spencer e Terence Hill, il gIà citato film doppio, anzi triplo film di Richard Lester - che era già comicheggisnte di suo - e i classici di kung fu alla Bruce Lee - perché i moschettieri diventano karateki ben addestrati -) è decisamente un passo in avanti. Se non avessi fatto una tesi di laurea sui moschettieri di Dumas, questa pellicola di Veronesi non mi avrebbe incuriosito. Di certo, il cast è di classe e l'aver scelto la commedia, anziché la solita pellicola d'avventura è decisamente una cosa a favore del film. In questi anni, fra film dei moschettieri troppo all'avanguardia (vedi la versione futuristica del 2011), è un bene ritrovare i quattro in versione vecchi bravacci, che puzzano, si ubriacano si scoprono bisessuali e persino dei mezzi drogati. Giovanni Veronesi sognava di fare questo film da anni, ma con Troisi, Benigni, Nuti e Verdone, ma dubito che potessero far meglio di Favino, Papaleo, Mastandrea e Rubini, che, dalla loro, hanno una Margherita Buy in versione regina Anna tutta da scoprire (anche la damigella che non sa cavalcare di Matilde Gioli e la Milady,della Bevilacqua killer e amante del Mazzarino di Haber, se è per questo). Discreto anche il finale, che spiga perché tutto s'interrompacosì, all'improvviso.
Marco Poggi, Filmtv.it, 7 gennaio 2019
Giovanni Veronesi scommette sull’avventura ridando lustro al genere cappa e spada. E lo fa mettendo in scena i moschettieri come degli antieroi, invecchiati, imbolsiti e buffi. Non più, quindi, prodi cavalieri della regina ma uomini mal messi sul viale del tramonto: D’Artagnan un allevatore di maiali, Porthos un ubriacone, Athos un sifilitico e Aramis un frate pieno di debiti e pentito per le numerose morti causate nel corso della sua carriera. I quattro attori protagonisti si fanno carico di una comicità esilarante mettendoci del loro in ogni personaggio: Athos eredita la passione per le canzoni di Papaleo, Aramis l’autorevolezza di Rubini, mentre Porthos la battuta caustica sempre pronta di Mastandrea. L’attore romano si rivela la vera sorpresa del film per i tempi comici perfetti e l’irriverenza del suo persoanggio, sfatando il mito che lo vede a suoi agio solo in ruoli seri e malinconici. Mentre Favino costruisce un D’Artagnan tragicomico, un po’ sfigato e tonto con un divertente accento francese e la tendenza ai doppi sensi volgari. Fatta eccezione, appunto, per il primo cavaliere della regina, nel film si riscontra una singolare promiscuità di linguaggio che vede tutti i personaggi utilizzare il proprio accento: il romanesco, il barese, il lucano, il milanese, il pratese. Una scelta che inizialmente disorienta ma che risulta presto congeniale al clima e all’impostazione del film: una storia di fantasia, una farsa, della quale molti elementi troveranno spiegazione nel finale a sorpresa.
Le donne protagoniste, dalla Regina Anna – una Margherita Buy pienamente in parte – al personaggio di fantasia Cicognac interpretato da Valeria Solarino, si rivelano essere il perfetto contraltare dei moschettieri: forti, caparbie e risolute. Di contro agli uomini inconcludenti e spesso lagnosi. Un luogo comune che rende il film, aldilà della cornice in costume, una commedia che rispecchia la contemporaneità dei rapporti tra uomo e donna. E non solo questo. Moschettieri del re serba una sottile e significativa metafora del nostro tempo sul fenomeno delle migrazioni senza scadere, però, nel retorico. Anche perché il film si concentra maggiormente sull’elemento dell’avventura e del puro divertimento: Giovanni Veronesi investe non solo nei quatto attori protagonisti che ha saputo dirigere, facendo affidamento sul loro innegabile talento, ma sui duelli, le scenografie, i sontuosi costumi, i meravigliosi e sterminati paesaggi della Lucania.
Il risultato è una godibile e avventurosa commedia che si inserisce nel difficile periodo natalizio dei cinepanettoni ma che ha tutte le carte in regola per conquistare il pubblico. Un revival dei moschettieri che qui si mostrano umani e un po’ ridicoli, eroi che un tempo facevano sognare i bambini ma che conservano ancora il loro fascino e la loro epicità.
Caterina Sabato, Cinematographe.it, 19 Dicembre 2018