Critica
Proprio sul casting punta tutto questo nuovo adattamento (basato sia sul libro del '69 sia sul successivo Banco, pubblicato nel 1972) a firma del danese Michael Noer, che chiama due attori dalle caratteristiche incredibilmente simili a quelle di McQueen e Hoffman a dare nuova vita a una storia entrata nell'immaginario collettivo: Charlie Hunnam, il bellissimo e carismatico eroe di Sons of Anarchy, già pentito di non aver accettato il ruolo di Mr. Grey nella torrida (?) saga delle sfumature, e il talentuoso, enigmatico e vulnerabile Rami Malek di Mr. Robot.
Le analogie fisiche e temperamentali tra le due coppie di interpreti - anche se Hunnam e Malek non hanno certo lo starpower che vantavano allora McQueen e Hoffman - fanno pensare a un remake più che a un nuovo adattamento delle memorie di Charrière, ma in realtà la sceneggiatura di Aaron Guzikowski non ricalca pedissequamente quella di Dalton Trumbo e di Lorenzo Simple jr. per il Papillon del '73 ma cerca di avvicinarsi al vissuto del protagonista. Anche l'approccio di Noer alla gestione del racconto si allontana abbastanza drasticamente dall'impostazione di Schaffner, tutta basata sull'atmosfera e sui tempi dilatati per riflettere l'inerzia della detenzione, la ripetitività e il logorio dei lavori forzati e le condizioni disumane in cui vivevano i prigionieri tra la colonia penale di Cayenne, l'isola di St. Joseph, dove i detenuti che tentavano la fuga venivano chiusi in isolamento per anni, e la più piccola, infame isola del Diavolo.
La buona notizia è che il regista danese si guarda bene anche dal proporci un Papillon postmoderno che sarebbe stato difficile da digerire dopo aver recentemente visto Hunnam nel King Arthur - Il potere della spada di Guy Ritchie: ma questa versione della storia ha ritmi molto convenzionali, e anche il suo sguardo non ha granché di distintivo e fa inevitabilmente rimpiangere la calma grandiosa e assolata della visione di Schaffner. L'attenzione alle performance, tuttavia, è apprezzabile e Hunnam e Malek riescono a rinverdire l'alchimia tra Papillon e Dega in maniera piacevolissima: elemento chiave dell'avventura è infatti questa improbabile amicizia che nasce da un'urgenza utilitaristica, con il navigato e pugnace Charrière che si offre di proteggere l'altro, più fragile e inerme, in cambio del finanziamento dei suoi piani di evasione. Uno degli elementi più accattivanti di questo Papillon, assai meno ambizioso e memorabile del predecessore, è il rapporto tra due uomini di estrazione tanto diversa che muta, si rafforza, e sopravvive al passare del tempo e a prove molto difficile.
Se l'amicizia è la pietra angolare narrativa di Papillon il suo motivo principale è l'insopprimibile anelito alla libertà di un uomo che non si lascia piegare dalle avversità e dal sadismo di un intero sistema. E se suona come un cliché è perché probabilmente lo è, ma è un cliché affascinante, come sapeva bene Charrière, che ammise di aver condensato nel suo racconto le sofferenze, gli aneddoti e i rocamboleschi tentativi di fuga di diversi compagni di prigionia.
Se la fattura un po' anonima e la mancanza del respiro epico del film del '73 ne fanno una visione senz'altro da evitare per gli estimatori del film di Schaffner, Papillon resta un film imperdibile per quelli di Hunnam, autore di una prova fisica notevole e dotato di una presenza scenica fuori dal comune. Abbastanza da reggere il confronto con l'icona Steve McQueen.
Alessia Starace, Movieplayer.it, 27 Giugno 2018
Noer ha una direzione molto classica: inquadrature ampie, campi lunghi, pochi effetti speciali. Scegliendo di girare le scene tra Serbia, Montenegro e Malta, il film azzecca anche la capacità comunicativa di quei luoghi, che rimandano molto i paesaggi brulli e le coste rocciose dell’America del sud. E trasmettono allo spettatore quel senso di assoluta rassegnazione, di perdita di speranze da parte di coloro che realmente venivano imprigionati e relegati in un luogo apparentemente impossibile da lasciare.
I due protagonisti – Malek e Hunnam – sono ispiratissimi, e se si scansano i pericolosi paragoni con coloro che li hanno preceduti (Hoffman e McQueen), se ne possono apprezzare le doti recitative e la capacità di calarsi in dei ruoli tanto tormentati.
Attenendosi molto al lato romanzato della storia, Papillon lascia comunque trapelare un certo intento documentaristico, una volontà di denuncia storica verso le condizioni disumane di bagni penali come quelli della Caienna francese.
I titoli di coda del film infatti mostrano le foto dei luoghi originali (e quindi la fedeltà riproduttiva delle scenografie della pellicola di Noer), dei prigionieri che da Parigi si imbarcarono sulla Martinière e, infine, del vero Henrie Charrière, che in età avanzata mostra orgoglioso tutti i suoi tatuaggi, simbolo di una vita all’insegna della Speranza.
Giulia Anastasi, Cinefilos.it, 2 Luglio 2018
(…) A conquistare il pubblico fu lo spirito del protagonista, convinto della propria innocenza e deciso a fuggire in nome del valore per lui sacro della libertà. Carisma e spregiudicatezza sono le caratteristiche richieste per il ruolo e a sorpresa Charlie Hunnam - uno che finora si è dimostrato abbastanza anonimo anche in ruoli da protagonista - dimostra di averle entrambe, in quella che è la prima interpretazione davvero convincente da lui data. In quanto a fisicità (ampiamente testata con una certa spigliatezza a lasciarsi dietro casacca e pantaloni) poi non ha mai avuto problemi di credibilità.
Accattivante e sbruffone il giusto, Hunnam si rivela la scelta perfetta per giocare sullo stesso campo di un film che aveva due nomi della grande Hollywood anni '70, senza prendersi troppo sul serio ma senza nemmeno troppo subire il confronto. Il suo Papillon è così convincente che non viene fagocitato dall'interpretazione di Rami Malek, attore decisamente più dotato di lui. Il futuro interprete di Freddy Mercury qui interpreta Louis Dega, un ricco funzionario che finirà nel penitenziario per aver falsificato dei buoni di stato. Completamente spaesato in un mondo criminale di regole e astuzie che non gli appartengono, intesserà un rapporto d'interesse con Papillon: mentre lui organizza la fuga con i soldi di Dega, si occuperà di aiutarlo a sopravvivere, proteggendolo dalle mire di quanti vorrebbero fargli del male.
La chimica tra i due è innegabile e la relazione di fiducia profonda che s'instaura tra Papillon e Dega diventa ben presto il fulcro del film, molto più della fuga stessa. Il film riesce anche a mescolare sapientemente le parti politiche di denuncia delle condizioni disumane in cui i carcerati (sopra)vivono con sequenze adrenaliniche e ben orchestrate, che alzano il ritmo in prossimità di ogni tentativo di fuga.
Pur senza mettere in scena qualcosa di davvero memorabile, il regista Michael Noer porta a casa dignitosamente una pellicola che sorprende per qualità, soprattutto considerando il suo passaggio in sordina nelle sale italiane in piena estate. Una tale mancanza di promozione in genere prelude a film ben peggiori di questo, mentre tutto sommato una puntata al cinema Papillon arriva a meritarla.
Elisa Giudici, Mondofox.it, luglio 2018