MARTEDì 1 e MERCOLEDì 2 maggio ore 15.30 - 18 - 20.30 GIOVEDì 3 aprile ore 15.30 - 17.30 - 20 - 22 |
Regia
Luca Miniero
Genere
COMMEDIA
Durata
96'
Anno
2018
Produzione
MARCO COHEN, FABRIZIO DONVITO, BENEDETTO HABIB PER INDIANA PRODUCTION, VISION DISTRIBUTION
Cast
Massimo Popolizio (Mussolini), Frank Matano (Andrea Canaletti), Stefania Rocca (Katia Bellini), Gioele Dix (Daniele Leonardi), Eleonora Belcamino (Francesca), Ariella Reggio (Nonna Lea), Massimo De Lorenzo (Giorgio), Giancarlo Ratti (Mario Capogrossi), Guglielmo Favilla (Autore Tv), Daniela Airoldi (Laura), Luca Avagliano (Gianni), Piera Russo (Carla), Elena Staropoli (Dada), Marta Bulgherini (Giovane autrice Tv), Danilo Sarappa (Autore Tv) |
Roma. Giorni nostri. Dopo 80 anni dalla sua scomparsa Benito Mussolini è di nuovo tra noi. La guerra è finita, la sua Claretta non c'è più e tutto sembra cambiato. All'apparenza. Il suo ritorno viene casualmente filmato da Andrea Canaletti, un giovane documentarista con grandi aspirazioni ma pochi, pochissimi successi. Credendolo un comico, Canaletti decide di renderlo protagonista di un documentario che finalmente lo consacrerà al mondo del cinema. I due iniziano così una surreale convivenza, che tra viaggi per l'Italia, ospitate tv e curiosi momenti di confronto con gli italiani di oggi, porta il Duce a farsi conoscere e riconoscere sempre di più, al punto tale da diventare il protagonista di un show in tv e di mettersi in testa di poter riconquistare il paese...
Dopo Benvenuti al Sud (e al Nord), Luca Miniero tenta nuovamente la carta del remake. Stavolta alza il tiro, prende spunto dal tedesco Lui è tornato di David Wnendt (2015), tratto a sua volta dal bestseller di Timur Vermes, in cui viene raccontato il ritorno di Adolf Hitler nella Germania moderna, e ipotizza lo stesso scenario cambiando dittatore e paese d’appartenenza. Difficile descrivere questa nuova opera di Miniero se non partendo da un importante presupposto: non è una commedietta all’italiana, un semplice remake del film di Wnendt o una sorta di parodia senza senso. Sono Tornato rappresenta invece un film complesso, sfaccettato, ricco di ironia certo, ma sostanzialmente inquietante nel modo in cui ci illumina la realtà di un’Italia che da molti punti di vista appare incapace di lasciarsi alle spalle l’orrenda eredità di un Mussolini che rivive negli occhi ora ferini ora giocosi di un Popolizio carismatico e che non perde mai un colpo, e la cui caratterizzazione è basata non tanto sull’aspetto fisico, quanto sui modi, sulle idee, sulla parola. Egli dipinge un Mussolini ora spaesato, ora incredibilmente a suo agio, ma di cui riconosciamo quell’energia, quella mancanza di scrupoli e scaltrezza che lo portarono per vent’anni a potersi specchiare del suo potere dal balcone di Piazza Venezia.
Soggetto: Timur Vermes - (romanzo), David Wnendt - (sceneggiatura del 2015), Mizzy Meyer - (sceneggiatura del 2015), Nicola Guaglianone, Luca MinieroTrama
Critica
E lo fa partendo da un presupposto abbastanza lampante: se la figura di Hitler è stata ricusata con forza non solo a livello globale, ma dalla Germania stessa, si può dire la medesima cosa per Benito Mussolini in Italia? La risposta, ovviamente, è no. Da sempre considerato un “cattivo” minore, alle volte persino giustificato per i suoi “errori”, il duce se n’è mai andato davvero da questo paese?
L’operazione, da questo punto di vista, è al contempo cinica, predittiva e financo “pericolosa”, per quanto lo possa essere un film, naturalmente: quello che interessa agli autori (soggetto e sceneggiatura sono firmati dal regista insieme a Nicola Guaglianone), d’altronde, non è tanto lo straniamento di un personaggio catapultato in un’epoca non sua, quanto osservare le risposte del contesto “ricettivo”.
Per farlo, non mutano poi di parecchio la struttura del film originario, mescolando immagini “dal vero” (sorta di candid camera con interlocutori anche ignari dell’operazione stessa) ad una reale drammaturgia che, spiace notarlo, è l’anello debole dell’intera costruzione.
E così, trascinato da un Massimo Popolizio in stato di grazia (che non imita, ma prova a fare “suo” il duce), Sono tornato è un viaggio attraverso il populismo di una nazione che, tra il serio e il faceto, ancora oggi non saprebbe opporsi alle idee totalitarie e dispotiche di un “uomo forte” che, sin dalla sua (nuova) apparizione, non mente sulle sue reali intenzioni: riprendere in mano il potere e governare il paese.
“Sì, ma una dittatura libera però, una dittatura non troppo dittatura”, come auspica un fornaio napoletano, tra i tanti che Mussolini incontra lungo il suo cammino. Cammino che, giocoforza, finirà per essere fagocitato dagli show televisivi. Ed è qui che il film compie il suo percorso più profondo, laddove – la storia lo ha dimostrato – si sono decise per anni le sorti di questo paese: un paese senza memoria, disposto al perdono, sempre in cerca di una figura forte capace di intercettare il malessere strisciante di un popolo che ha sempre preferito affidarsi a chi sapeva prenderlo “per la pancia” e mai opporsi, neanche di fronte l’evidenza.
La domanda del film, alla fine, è abbastanza ovvia: mettiamo per ipotesi che Mussolini sia di nuovo tra noi, voi che cosa fareste? La risposta, altrettanto ovvia, è: lo voteremmo. E in previsione delle prossime elezioni (4 marzo), a conti fatti, chissà che non andrà davvero così.
“Anche allora la gente rideva, credevano fosse solo un comico”.
Valerio Sammarco, Cinematografo.it, 29 gennaio 2018
Sono Tornato fonde in sé (come nell’omologo tedesco) sia la struttura del film classico che quella della candid camera, spiando, cercando e mostrando le reazioni di gente comune al passare tra di loro di un Mussolini redivivo ma che in realtà non se n’è mai andato dalla nostra cultura politica, dalle nostre strade, menti e che in quest’Italia disastrata, povera e scalcagnata a molti appare come un miraggio, un rimpianto. Ecco allora che Sono Tornato acquista un potenza ed una funzione per le quali poco conta che la sceneggiatura di Guaglianone e Miniero non sempre sia ben dosata o chiara, che i dialoghi e l’intensità non sempre convincano.
Ciò che conta in Sono Tornato è lo sconfortante riconoscersi tali e quali nei decenni, nei secoli, sempre pronti a seguire il primo imbonitore o venditore di vasetti pronto a raccogliere la nostra rabbia, il nostro perenne lamentarci impigrito, il confermare la mancanza di senso dello Stato, che già Montanelli sintetizzò a suo tempo nella puerile formula da noi tanto amata ed abusata: “ci vorrebbe qualcuno che…”. È quindi qui il perché di questi saluti romani esibiti di fronte alla telecamera dai passanti? Il perché di quest’orgia di selfie chieste da sorridenti ragazze e ragazzi, il perché di 50enni e 40enni a sorridere e inneggiare al fu Duce Fondatore dell’Impero?
Forse il perché è insito nello splendido e intenso monologo di Ariella Reggio, che fa della sua nonna Lea il personaggio più ricco di significati, con il suo essere apparentemente solo la povera nonna demente della civettuola, belloccia ed ignorante Francesca (un’ottima Eleonora Belcamino), mentre nasconde dentro di sé la verità. Una verità che è la memoria e il dolore di chi visse gli anni in cui le Leggi Razziali del Duce mandavano migliaia di ebrei italiani nei forni crematori, decine di migliaia di giovani male armati e mal guidati alla morte in Russia, Grecia od Africa, le libertà più fondamentali soppresse per garantire il potere ad un opportunista capace dopo anni di millantato militarismo di buttare nella mischia un paese povero, corrotto, impreparato e senza speranza. Ed infine di scappare travestito per sfuggire alla rabbia di un popolo ridotto alla fame e alla guerra civile.
La chiave per il potere in questo paese, sembra dirci Sono Tornato, sta nell’ignoranza, nella menzogna puerile, nello sfruttare la volontà di riscatto dei mediocri, degli arrivisti, degli ignoranti e sognatori frustrati, come la Bellini di Stefania Rocca, lo stesso ingenuo Canaletti di un Matano convincente, o come la miriade di nostri connazionali imbelli, incolti, paurosi, ma sempre opportunisti dei nostri giorni. Sono gli stessi che qui di fronte a quello che pensano essere solo un imitatore del Duce, si perdono in fantasticherie su una “dittatura non troppo dittatura” o “sul far affogare gli stranieri nei barconi”, per poi rivendicare il non leggere giornali, il non andare a votare, il fregare il prossimo e lamentarsi di essere fregati a nostra volta. Sono Tornato ci mostra l’isolamento non di un Mussolini che ci mette meno di un amen nel capire che si, certo, i media e tante altre cose sono cambiate, ma noi siamo rimasti gli stessi fessi creduloni di 80 anni fa; l’isolamento che Miniero col suo film ci fa guardare è il nostro, di noi italiani, tutti chini su noi stessi, sul nostro Io, incapaci di dire noi, di dire Stato, di concepire qualcosa di diverso dal “ci vorrebbe qualcuno che…”.
Ed ecco allora che in una Roma moderna, contemporanea in tutto e per tutto, mai vicina all’epoca del ventennio, ritroviamo la fascistica solitudine dei virtuosi, dei migliori, come Nonna Lea o come l’autrice televisiva interpretata da Marta Bulgherini: schiacciate dal crasso sghignazzo e dalla volontà di demandare la propria vita al redivivo Duce di un’Italia, che non si è mai in realtà assunta la responsabilità del suo passato totalitario, mai ha ammesso il proprio errore come i tanto disprezzati “crucchi”. Il Mussolini di uno straordinario Massimo Popolizio è qui di fronte a noi quindi non nella sua forma reale, storica, ma nella forma in cui ancora oggi molti di noi lo ricordano e lo rimpiangono: addobbato non di una camicia nera ma di un razzismo da bar, una misoginia pecoreccia e allusiva, un furbizia scaltra da contrabbandiere di sogni e umori, di un’ambizione che il frustrato impaurito ed ignorante di oggi vuole nutrire nell’illusione di assecondare la propria.
Non aspettatevi quindi solo risate da questa commedia atipica, che certo molto deve all’originale tedesco, ma che vive genuina e vibrante di un’anima più complessa, meno innocua e sepolta. Il tutto però senza mai essere greve, senza perdere leggerezza e senza scadere nel patetico o nel ridicolo, affrontando tutto con passo leggero e forse, proprio per questo, in grado di farci riflettere sulla necessità di un’autocritica verso noi stessi, il popolo che anche è oggi preferisce essere plebe e sogna di tornare ad essere un docile gregge.
Giulio Zoppello, Cinematographe.it, 30 gennaio 2018Altre informazioni
Sceneggiatura: Nicola Guaglianone, Luca Miniero
Fotografia: Guido Michelotti
Musiche: Pasquale Catalano
Montaggio: Valentina Mariani
Scenografia: Tonino Zera
Tratto da: romanzo "Lui è tornato" di Timur Vermes (ed. Bompiani)
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